Nel corso delle mie chiacchierate ho parlato più volte della Bilancia di Corso Roma.
L’ho fatto su queste pagine e anche su Facebook e sempre manifestando il mio attaccamento (perfino esagerato) a questo prodotto della tecnologia del ‘900.
Chi è superficiale o privo di sentimento si porrà una domanda: “Cos’avrà mai di così degno di nota una semplice bilancia posta in una strada del centro?”
A parte la bellezza tecnologica e la stranezza dei suoi misteriosi marchingegni, ha il potere di evocare tante memorie. E ora accenno ancora una volta qualcosa della sua storia.
Nella mia collezione di cartoline, ne posseggo diversi esemplari in cui si può osservare la presenza della ormai famosa regina delle bilance.
Una cartolina, la più vecchia in cui si può osservare questa macchina pesatrice pubblica, fu spedita il 10 Marzo 1939. La destinataria era una certa Irma Comba/ via Trieste, 13/Pinerolo (Torino). La spediva, senza aggiungere nessun saluto e neppure una parola una certa Maide, di cui resta, appunto, soltanto il nome. Per un attimo avevo creduto fosse stata spedita da un certo Lorenzo Maida di Maranzaniana memoria… ma questa è un’altra storia.
Quindi dal 1939 al 2017 sono passati la bellezza di 78 anni. E la bilancia è restata al suo posto, accanto ad una colonna dei portici, fino a qualche giorno fa. Giorno in cui io e tanti amici abbiamo tremato e temuto di non vederla più. Terrore durato fino al momento in cui la si è scorta in un luogo non distante da dove stava prima (Un angolo buio e sporco dei portici, proprio nell’angolo interno dell’intersezione con i portici della Piazza Garibaldi).
Non si conoscono le cause di queste manovre e dell’attuale collocazione che voglio sperare sia solo provvisoria.
Mani sacrileghe hanno osato toccarla, afferrarla, rimuoverla da dove aveva trascorso l’esistenza e da dove aveva visto transitare milioni di persone. Nel conto del milione di persone voglio enumerare anche chi, come me, ha consumato diverse paia di scarpe sui lastroni di granito e – da circa un decennio – su quel materiale che non so se possegga un nome e che oggi deturpa la via principale al posto di granito e porfido. Milioni di persone e miliardi di passi accanto alla Nonna di tutte le bilance.
La vecchia signora, già presente durante la visita del Duce alla nostra città, 17 Maggio 1939, ha visto passare una guerra, militari che partivano per il fronte ed altri (molti di meno) che tornavano, partigiani convinti e tanti furbetti accodatisi all’ultimo minuto, scioperi, cortei studenteschi, ragazzi a caccia della bella da conquistare e mille altri eventi.
La vecchia signora è parte integrante della città e non la si può alienare in quattro e quattr’otto. È testimone di se stessa e di tanto del nostro tempo. È ormai compagna, seppure discreta e silenziosa, della maggior parte di alessandrini. Deve restare (tornare) dov’era e dove è rimasta fino a pochi giorni fa. Lo pretendono tutti i veri alessandrini.
Perché vogliamo tanto bene a questo rudere? È presto detto.
Osservarla non può non far tornare alla mente le lontane domeniche primaverili di fine anni ’50, quando io – bambino, già vestito di tutto punto – aspettavo papà e mamma che finissero di prepararsi per uscire. Entrambi ben pettinati indossavano gli abiti migliori. Mio padre, con un filo di brillantina tra le dita, dava un’ultima rassettata ai capelli. Chioma ancora abbastanza folta e soprattutto nera. Poi, prima di uscire, lasciava calare dolcemente sul capo il suo elegante Borsalino.
Ricordo che la mamma, anche lei dai capelli nerissimi e sempre acconciati con deliziosi riccioli, si faceva aiutare per stringersi – con una chiusura lampo – in un elegante vestito. Le scarpe nuove, che mio padre – calzolaio – aveva appena creato su misura per lei, attendevano ancora qualche istante prima di essere indossate.
Prima di uscire entrambi davano un’ultima controllata, osservandosi nello specchio dell’armadio. La piega dei pantaloni era perfetta, le scarpe erano lustre. Si era in perfetto ordine per andare in Corso Roma. L’eleganza era l’unico lasciapassare per un luogo simile (a quei tempi).
Corso Roma era considerata una via quasi sacra e quindi era un sacrilegio non essere più che eleganti per farvi una passeggiata.
Bene, si poteva uscire – tutti e tre – per tuffarsi nel mitico mondo di Corso Roma, la via dalle vetrine scintillanti di merci preziose e di luci, la strada delle belle persone.
Quando andava bene ci scappava anche un bel gelato da 50 lire. Un cono, naturalmente (Non osavo prendere lo scodellino che poi avrei dovuto gettare!), Che fosse di Tattoli o di Cercenà poco mi interessava.
E poi, tra un’andata ed un ritorno, come si poteva non notare la bella e vistosa Bilancia? Parecchie volte mi soffermavo per vedere qualcuno che si pesava.
La persona saliva sul piatto che pareva non muoversi affatto, attendeva che il disco a spicchi bianchi e rossi si fosse fermato e lasciava scivolare una moneta da 10 lire nell’apposita feritoia; un piccolo rumore generato da meccanismi segreti produceva la scritta con il peso e con la data del giorno stampandoli su un cartoncino che recava anche un bellissimo disegno. Quindi ecco la figurina arrivare; cadeva in uno scodellino da dove la si poteva raccogliere.
Quando andava bene, se la domenica era fortunata, ci scappava anche una pesata.
In quegli anni non mi interessavo ancora della linea, non sapevo neppure cosa fosse. Mi piaceva però poter avere una nuova figurina, tutta mia, da osservare con gioia e da conservare con cura. Nonostante un paio di traslochi posseggo ancora proprio una di quelle figurine.
Il mistero che avvolgeva la nascita di questo piccolo dono di cartone da parte della Macchina era parte del gioco e l’emozione che da tutto questo scaturiva ha fatto sì che tutti questi ricordi si imprimessero in maniera indelebile nella mente di quel bambino (che forse non è mai cresciuto).
La bilancia, muta testimone del suo tempo, ha visto tutto questo e molto altro ancora. Sta a noi raccogliere la sua eredità e raccontare, a chi è curioso di ascoltare, tutte le storie che teniamo racchiuse nella mente e soprattutto nel cuore.