Il galletto monferrino, l’alessandrinità e il Rettore [Centosessantacaratteri]

10 a Enrico Sozzetti, zero agli anonimi del web! [Le pagelle di GZL] CorriereAldi Enrico Sozzetti
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La ‘casalesità’ è per definizione un mix di orgoglio di territorio e di difesa dell’identità. E di fronte alle avversità, alle crisi, alle contrapposizioni politiche, come nel caso di successi ottenuti nel nome del Monferrato, in primo luogo gli abitanti della città di Sant’Evasio e dell’ampio territorio sono ‘casalesi’. A volte lo sono fin troppo, al punto da apparire un po’ patetici quando cercano di assegnare una patente di casalesità anche a persone o avvenimenti che con il territorio non hanno alcunché a che fare. Però ci credono. Al punto che nell’arco di pochi mesi hanno presentato ufficialmente al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo il dossier della candidatura di Casale Monferrato a Capitale Italiana della Cultura 2020. Entro il 15 novembre una giuria di sette esperti nel settore della cultura, delle arti e della valorizzazione territoriale e turistica, nominati dal Ministero, selezionerà le dieci città finaliste che saranno invitate a un incontro di presentazione pubblica e di approfondimento. La Capitale Italiana della Cultura 2020 sarà quindi scelta entro il 31 gennaio 2018. In premio, il marchio nazionale e un milione di euro in esclusione dal Patto di stabilità.

Quante probabilità ha davvero Casale? Diciamo poche. Ma a cosa è Il galletto monferrino, l’alessandrinità e il Rettore [Centosessantacaratteri] CorriereAlrealmente servito questo gesto? Le parole degli amministratori comunali sono chiare: “Proseguire con ottimismo nel processo di rinascita del territorio, un percorso che abbiamo intrapreso seriamente e che intendiamo continuare con determinazione”. La presentazione della candidatura è l’espressione della compattezza di un territorio che vuole alzare la posta in gioco, pensare in grande, non tanto per l’obiettivo in sé, quanto per quello che rappresenta. E non va dimenticato che se le candidature sono arrivare da singoli Comuni, Casale è stata capace di sottoscrivere un accordo con Asti per sostenere un modello di sviluppo del nome del Monferrato.

Quale sviluppo per Alessandria? [Controvento] CorriereAl 1Alessandrinità’: eccola, con l’orgoglio di avere sottratto il galletto ai Casalesi (siamo nel 1215 e peraltro è rimasto l’unico bottino di guerra perché duecento anni dopo i monferrini si riprendono praticamente tutto quanto), con il senso di superiorità che trasuda una ironia ormai fine a se stessa, con l’arroccamento su posizioni di supponenza che non fanno che favorire il progressivo isolamento della comunità che è sempre più convinta di essere autosufficiente di fronte al mondo, ma non si rende conto che il mondo non finisce al limite del confine municipale. Sia per Casale, sia per Alessandria, questa riflessione vale in termini di sistema e non di individualità. Purtroppo il sistema però ha un peso. Che condiziona. E così mentre Casale presenta un dossier che non porterà al risultato sperato, però contribuisce a consolidare l’identità e la forza di volontà di puntare verso un possibile modello di sviluppo. Ed ecco Alessandria che sogna una crescita culturale che passa attraverso pagine di storia di valore, ma anche di nicchia, come gli affreschi de ‘Le stanze di Artù’, oppure una crescita economica con la logistica come è stato detto al termine di un incontro a Genova. Sono singoli capitoli di un volume che non esiste ancora. Un volume privo di una trama strutturata. Un volume in un cui rischiano di emergere in modo clamoroso le lacune risultato del progressivo isolamento in cui si è chiuso il capoluogo negli anni.
Non basta un singolo capitoletto, benché di grande spessore, per innescare un Palazzo-borsalinoprocesso virtuoso. Non è sufficiente cercare intese istituzionali (importanti, certo, ma non decisive visto che gli archivi sono pieni di protocolli di intesa rimasti esclusivamente sulla carta) in mancanza di un reale coinvolgimento dell’intera comunità. Le conquiste più grandi sono vecchie di almeno 20 anni.

Un esempio? L’università. Oggi, a distanza di due decenni dall’istituzione dell’Ateneo, c’è ancora chi parla dell’Università del Piemonte Orientale con i toni della scoperta, come se fosse apparsa dieci minuti fa in città. C’è chi discetta di ‘Facoltà’ senza nemmeno sapere che non esistono più dopo l’ultima riforma, chi non ha memoria storica e non si mette nemmeno nelle condizioni di ascoltare chi ancora la conserva. Rileggere quanto avvenuto negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso mette i brividi. Quella Alessandria, quella mentalità, quella lucidità politica (da parte di pochi, solo a risultati ottenuti, poi, sono quasi tutti saliti sul carro del vincitore), mentale e intellettuale che ha portato (fra scontri politici e contrasti territoriali molto forti) a ottenere l’autonomia, sembra appartenere solo ai libri di storia e agli archivi dei giornali dove è stata sepolta.

L'Università del Piemonte Orientale lancia Multi2Hycat, progetto europeo da 50 ricercatori. L'innovazione chimico-farmaceutica passa di qui! CorriereAl 2Oggi a distanza di 20 anni gli amministratori locali, in modo assolutamente trasversale, parlano di “scelte e strategie condivise” per dotare le sedi universitarie “degli spazi necessari per vivere appieno il ruolo di promozione culturale, ricerca e trasmissione dei saperi scientifici, in sinergia con il territorio locale e le istituzioni”. Parole ripetute per anni e anni. Mentre Novara e Vercelli hanno innescato il turbo. Oggi è molto concreto il rischio che le risposte arrivino quando è tutto finito. E se poi al vertice dell’Università del Piemonte Orientale è destinato ad arrivare un novarese, i giochi potrebbero essere definitivamente chiusi. Un docente novarese, Gian Carlo Avanzi, sabato scorso ha partecipato alla cerimonia del decennale del centro riabilitativo del Borsalino di Alessandria. Era in rappresentanza dell’attuale Rettore, Cesare Emanuel. Che potrebbe sostituire nel 2018.