Allora. Il coach nel passato ha avuto problemi di alcolismo, o un dramma familiare. Altrimenti è stato squalificato per avere violato le regole della lega.
Per riabilitarsi va ad allenare in una scuola difficile, con un preside disincantato e insegnanti frustrati.
Frequentano la scuola neri e latinos. C’è anche un bianco, che vive nel quartiere dei neri e latinos perché suo padre ha avuto problemi di alcolismo, o hanno alle spalle un dramma familiare. Sennò il padre, del bianco ma più facilmente di uno dei neri o dei latinos, è in carcere.
All’inizio della stagione la squadra è disastrosa, il coach si scontra con il preside disincantato e con i colleghi insegnanti frustrati.
Poi si riprendono e arrivano a giocare le finali locali contro una squadra meglio organizzata, decisamente favorita, con giocatori che non hanno padri con problemi di alcolismo, o alle spalle un dramma familiare o in carcere.
Tutto sembra andare finalmente bene finché una gang locale, in una sparatoria serale tra piccoli delinquenti giovanili, colpisce la sorella di uno dei giocatori. O uno dei giocatori che era preoccupato per la sorella che andava bene a scuola finché non s’é messa con uno della gang locale.
Comunque si gioca la partita dopo un discorso motivazionale del coach, che racconta per la prima volta ai ragazzi quello che sanno già tutti, cioè che nel passato ha avuto problemi di alcolismo, o un dramma familiare o è stato squalificato per avere violato le regole della lega.
Stanno perdendo contro la squadra meglio organizzata, decisamente favorita, poi rimontano e all’ultimo secondo hanno il pallone per vincere, e tira proprio quello che sua sorella è stata colpita dalla gang, o il migliore amico di quello che è stato colpito perché era preoccupato per la sorella che s’é messa con uno della gang locale.
Anche se un tiro di solito sta in aria pochi istanti, questo ci mette interminabili secondi, mentre tutto ci chiediamo se il pallone entrerà e la storia di redenzione sarà compiuta oppure il pallone non entrerà perché ormai il lieto fine non è obbligatorio e…
Bene, adesso che vi ho raccontato la trama della maggior parte dei film americani sulla pallacanestro, e mentre guardate le partite degli europei di pallacanestro, sperando che per i nostri azzurri ci sia, una volta tanto, il lieto fine, io vi dico qualche film (e documentario) americano sulla pallacanestro che vale la pena di guardare (finite le partite degli europei, naturalmente).
In ‘Coach Carter’ Samuel L. Jackson è appunto il coach, di colore. Il film è tratto da una storia vera. Nella sparatoria della gang quello ucciso è il cugino di uno dei giocatori e il tiro finale purtroppo non entra, ma Carter ha reso i suoi giocatori uomini migliori. Mentre l’altro che sarebbe un perfetto coach di colore, Denzel Washington, invece fa il padre carcerato del futuro campione Jesus in un film di grande qualità come ‘He Got Game’ diretto da Spike Lee, regista appassionato di basket che si può incontrare a bordo campo agli incontri casalinghi dei Knicks.
Così come agli incontri casalinghi dei Lakers seduto in prima fila c’è Jack Nicholson, che agli inizi degli anni settanta dirige ‘Yellow 33’. Ora, abbiamo tutta una tradizione di titoli di film tradotti in italiano in modo abbastanza incomprensibile, ma come ‘Drive, He Said’ sia diventato da noi ‘Yellow 33’ va davvero oltre la mia immaginazione. Comunque il film, sintetizzabile con “amore pallacanestro e contestazione”, anche se all’epoca fece parecchio successo, ora non lo ricorda più nessuno (Nicholson è solo regista, non lo interpreta).
Gene Hackman, il prefetto coach bianco, in ‘Colpo vincente’ (‘Hoosiers’), in parte tratto da una storia vera, ha una macchia nel passato, a metà stagione lo vogliono cacciare (tranquillo Gene, succede a tutti in questi film) e il tiro finale… no, non ve lo dico se entra o meno, guardate il film.
Insomma, ho scherzato un po’ sulla tipica trama dei film sul basket, ma devo dire che li guardo molto volentieri, anche perché tra gli sport di squadra la pallacanestro è quella che io trovo più spettacolare ed emozionante, e si presta molto bene a essere portata sullo schermo, anche il piccolo. Infatti ci sono alcuni documentari altrettanto da vedere, soprattutto della fantastica serie di Espn “30 for 30”.
Se avete tempo solo per uno, dovete scegliere ‘Once Brothers’. Vlade Divac, serbo, torna in Croazia (non benvenuto) e alle memorie dei suoi rapporti con Drazen Petrovic, rapporti nati giocando insieme nella nazionale jugoslava, poi entrambi andarono in NBA, poi tra loro tutto finì per la guerra dell’ex-Jugoslavia ancora prima del tragico schianto che uccise il più grande giocatore europeo di sempre.
Consiglio anche ‘Without Bias’. Il titolo gioca sul termine “bias”, faziosità, pregiudizio ma anche errore, e cognome di Len Bias, che tutti pronosticavano come il futuro campionissimo della NBA quando venne scelto dai Celtics nel 1986. Solo due giorni dopo, invece…
Ancora ‘The Announcement’, sulla più famosa conferenza stampa della storia sportiva, quella in cui Magic Johnson annunciò di avere l’Aids. Leggo che è appena uscito, a proposito della rivalità tra le due più grandi squadre professionistiche americane, ‘Celtics/Lakers: Best of Enemies’ che mi riprometto di recuperare appena possibile.
Poi, uno dei più curiosi in assoluto, ‘Free Spirits’, racconta la bizzarra (e molto americana) storia dei proprietari di una delle squadre scomparse a metà degli anni settanta, i St. Louis Spirits della pittoresca lega ABA (quella dei palloni a spicchi bianchi rossi e blu) e di come raggiunsero un accordo economico per cui ancora oggi incassano ogni anno decine di milioni di dollari di rimborso dei diritti televisivi dai proprietari delle quattro squadre che dalla vecchia lega passarono alla NBA.
Intanto che leggevate il tiro della vittoria, scoccato a fil di sirena e restato in aria per un tempo interminabile, è entrato o no?