“In uno sport individuale e quasi claustrofobico come il tennis la specialità del doppio rappresenta un antidoto contro il solipsismo, ma non solo quello. Il doppio è il dimezzamento dello spazio, quindi della corsa e della fatica. Paolo Bertolucci ha la pigrizia del panda, animale che se costretto a muoversi non supera i venti metri l’ora, e Panatta è l’albero al quale si àncora e del quale si nutre. Il doppio è il «topos» dell’amicizia, un perimetro fisico delimitato da misure prestabilite entro cui si può esercitare un sentimento omerico. Ma anche il suo contrario. Ci sono state grandi coppie, prima fra tutte quella formata dai sudafricani Bob Hewitt e Frew McMillan, che in campo non si rivolgevano la parola e fuori si evitavano accuratamente ma che in partita sublimavano l’odio reciproco in una perfetta sinfonia di gesti, spostamenti, controllo del territorio, dominio psicologico sugli avversari.”
Lo scrive Dario Cresto-Dina in ‘Sei chiodi storti (vite inattese)’, libro molto bello edito dalla meritevole ‘66th and 2nd’ che ruota attorno alla nostra vittoria nella discussa finale di Coppa Davis del 1976. Ci ritornerò, per una specie di epilogo invernale della “estate di Adriano”.
“Quanto ci siamo divertiti (racconta all’autore Paolo Bertolucci), facevamo parte di un club esclusivo assieme a Fleming-McEnroe, Newcombe-Roche, Hewitt-McMillan, Năstase-Ţiriac e Gottfried-Ramírez.”
Oggi i grandi campioni non giocano più il doppio, in questa era in cui anche i tennisti sono campioni sintetici, alimentati da un controllo elettronico, parvenu rapidi e potenti ma mai romantici, mentre il doppio è specialità antica, lenta e assai poco razionale come certi balli nobiliari.
A fuggire dal doppio iniziarono infatti il primo grande sintetico Borg e il primo nervoso parvenu Jimmy Connors.
Per dire: Roger Federer, l’unico tennista uomo attuale che starà nell’Olimpo in doppio ha vinto, a parte un’Olimpiade (discorso a parte, ai grandi Giochi il tennis è sport solo laterale), un Masters nel 2003 e alcuni titoli minori, otto in tutto con quattro compagni diversi (cinque se aggiungiamo il Wawrinka di Pechino 2008). Un singolarista cui raramente è successo di passare per il campo nelle partite in cui è valido anche il corridoio.
Per l’aristocratico Nicola Pietrangeli, figlio di una russa forse nobile, alla soglia dei quarant’anni ancora numero uno del tennis italiano, Panatta quando prende a batterlo nei campionati nazionali del ‘70 e del ‘71 é ancora “Ascienzietto”, il figlio di Ascenzio, il custode del circolo in cui lui gioca, il bambino che fa da raccattapalle delle sue partite.
Non è un nobile dunque Adriano, ma ha tratti nobiliari nel giocare, nella naturale eleganza. In campo lui, bellissimo, sembra superbo mentre il suo primo nemico sarà sempre il suo carattere.
Paolo Bertolucci lo compensa alla perfezione.
“Mario Belardinelli, che era solito coniare un epitaffio per ognuna delle sue creature, a Paolo disse che in sala parto «Barbetta» con lui aveva esagerato nel dosare il talento, così pensò di riequilibrare il genio affibbiandogli un fisico da schiappa.”
I due, sia in singolare sia in doppio vincono molto meno di quanto avrebbero potuto. Neanche uno slam portato a casa da una coppia eccezionale, che aveva il suo naturale campo di gioco nella Coppa Davis, che allora era per gli italiani importante come il mondiale di calcio.
Delle grandi coppie citate da Bertolucci, quella composta da McEnroe e Fleming resta l’ultima dell’era in cui i fuoriclasse giocavano abitualmente pure il doppio; d’altronde SuperMac resta l’ultimo campione con più talento che fisico, l’ultimo maestro del tempo delle racchette in legno.
Gottfried e Ramirez sono un’anomalia, vengono da due paesi diversi, nessuno dei due è forte in singolare quanto insieme all’altro in doppio. Ramirez viene da una famiglia ricca di Ensenada, rappresenta il tipico giocatore bello e di successo degli anni settanta, ha capelli neri vaporosi, baffi neri, denti bianchissimi, carnagione perfetta: sposerà miss Universo. Fa coppia con Brian Gottfried, uno della nidiata di campioni di religione ebraica (con lui Solomon e Dibbs). Gottfried fa a gara con Vilas per essere il giocatore che si allena di più nel circuito, salta una sessione il giorno in cui si sposa ma il giorno dopo è di nuovo sui campi, a migliorare la tecnica. Nel loro palmares Wimbledon nel 1976, il Roland Garros nel 1975 e 1977, il Foro Italico per quattro anni consecutivi (1974-1977).
Baffo Newcombe vinse moltissimo anche in singolo, nel periodo in cui gli “aussie” dominavano con la racchetta in mano, mentre Tony Roche sarà rallentato da molti problemi al gomito. La loro carriera fu lunghissima e in quel ‘76 della nostra unica Davis saranno proprio loro a giocare il doppio nella semifinale romana. Panatta e Bertolucci li batterono facilmente in tre set.
Di Tiriac e Nastase abbiamo raccontato di recente, soprattutto per i loro incroci con Stan Smith. [Ai piedi dei ragazzi]
La storia di Hewitt e McMillan è la più particolare, e anche quella con il finale più improbabile di tutti.
Hewitt è australiano, diventa sudafricano per matrimonio. Fosse rimasto nel suo paese, non sarebbe arrivato mai a giocare la Davis, avendo davanti la generazione dei Laver, Rosewall, Newcombe, Roche, Stolle, Emerson… Insieme a McMillan la vincono invece nel 1974, quando l’India si rifiuta di giocare la finale contro la nazione che pratica l’apartheid, un precedente che verrà citato sovente nelle polemiche contro il viaggio dei nostri azzurri a Santiago per la finale del 1976.
Aveva già vinto, da “australiano”, il doppio due volte a Wimbledon e due volte all’Australian Open insieme a Fred Stolle. Nel ‘67 vince di nuovo Wimbledon, per la prima volta insieme a McMillan. Si ripetono nel ‘72 e ancora nel 1978 battendo proprio Fleming-McEnroe.
Quando entrano sul Centre Court per la finale lui ha 38 anni e McMillan 36. Sembrano tutto meno che atleti.
Hewitt, pelato e con una curata barba, pare pronto per andare alle battute di caccia alla volpe con il Duca di Kent, e gli attempati partecipanti sembrerebbero suoi coetanei.
McMillan, sempre col cappello bunet bianco in testa, lo diresti uno che sta andando a pescare. In un’era in cui l’impostazione dei tennisti è classica e il rovescio bimane è stato da poco sdoganato dai soliti Borg e Connors, lui gioca a due mani tutti e due i colpi, cosa che lo limita molto in singolare. Eppure vincono facile contro i due giovani, eccezionali, americani: 6-1, 6-4, 6-2.
Tra il ‘77 e il ‘79 si affrontano anche in tre finali dello slam di misto, e Hewitt con la connazionale Greer Stevens batte sempre McMillan che gioca con l’olandesona Betty Stöve.
Come detto i due si detestano, manco parlano tra loro, eppure sono forse la coppia più forte della storia.
Bob Hewitt è finito molto male, di recente, molestie e violenze sessuali contro giovanissime allieve, commesse negli anni Ottanta, dopo il processo del 2015 sta scontando sei anni di carcere, e la Hall of Fame del tennis nel 2016 ha dichiarato che “la sua memoria ha smesso di esistere”.