«Ho chiamato un’agenzia di lavoro interinale e quelli mi hanno domandato come me la cavavo con il telefono. «Be’, vi ho chiamati io, no?» gli ho risposto»
Zach Galifianakis, comico e attore americano di origine greca
Ho davanti a me il curriculum vitae di un amico che mi ha chiesto una mano a trovare lavoro. Senza specificare troppo, la cosa che mi colpisce di più è il numero, davvero impressionante, di attestati relativi a corsi di formazione di realtà più o meno conosciute.
A leggere il cv il mio amico sa fare di tutto, oltre (naturalmente) a essere un piccolo, grande genio. L’elenco di qualifiche, con regolare attestato (non bara, è tutto vero), è sterminato. Non si capisce allora perché, povero tapino, egli sia ancora alla ricerca di un lavoro stabile.
Stabile, appunto. Lui, in un modo o nell’altro, negli ultimi due anni ha comunque lavorato, con qualche pausa qua e là. Si è rivolto alle numerosissime agenzie di lavoro interinale. Ascoltando i suoi racconti, di vita e di lavoro, comprendo una cosa: oggi un’azienda, anche in buona salute, in generale tende a non assumere più a tempo indeterminato. Preferisce pagare un po’ di più la libertà di poter ridurre la forza lavoro, in qualunque momento e senza tante storie, a seconda di come vanno gli affari. Come biasimare un imprenditore che si comporta così? Eppure…
Eppure, come si può pensare di mettere su famiglia e avere dei figli (anche se è roba un po’ fuori moda, è la formula che tiene in piedi tutta la baracca) con una vita interinale?
L’Italia di domani (fondata sul lavoro, mi pare di aver letto da qualche parte) la stiamo costruendo sulla sabbia.