“Clay dei poveri poi non direi. Perché con queste riunioni pugilistiche si diventa il Clay dei ricchi. Vedi quanta gente c’è?” (da un’intervista, ovviamente rilasciata a Gianni Minà)
Bellaria, confinante con Rimini, circa 12 mila abitanti alla fine degli anni Settanta e centinaia di migliaia di turisti d’estate, naturalmente i più numerosi i tedeschi (e le tedesche), anche se è iniziata la stagnazione (e il dato dei giorni di permanenza media si sta rapidamente accorciando). Per la prima volta è stato eletto un sindaco del PSI non del PCI. Il 18 e il 19 luglio 1978 fa molto caldo: 32 gradi di massima, temperatura in rialzo e quasi il 60% di umidità. Il 21 luglio farà temporale. La sera del 19 luglio proprio a Bellaria si assegna il titolo europeo, vacante, dei pesi medi.
Il pugilato è stata “la nobile arte”, fin dalla fine del XIX secolo, ha vissuto decenni di grande successo. Facile da riprendere, prima ancora della televisione è stato il cinema il suo veicolo, sia con la trasmissione dei filmati dei grandi incontri, sia nei numerosi film di enorme successo commerciale. Ancora negli anni sessanta vive da noi un’epoca d’oro, si organizzano moltissime riunioni, vinciamo medaglie olimpiche (a Roma 1960 pure l’acquese Franco Musso, bellissima storia la sua tra l’altro). La rivalità tra Nino Benvenuti e Sandro Mazzinghi, finché dura, non è inferiore anche per attenzione popolare rispetto a quella tra Mazzola e Rivera o, meglio ancora, tra Gimondi e Gianni Motta.
Sul ring di Bellaria uno dei due contendenti, da Crawley Gran Bretagna, in calzoncini rossi, al peso 72 chilogrammi, come con ogni probabilità dirà lo speaker presentandolo, è Alan Minter. Ha una faccia che ti spiega subito che al pub, o in uno dei numerosi scioperi che caratterizzano l’Inghilterra in quel periodo, se c’è da menare le mani lui sarebbe il primo. Un picchiatore terribile, infatti. Tarchiato, regala ben dodici centimetri al suo, molto alto, avversario di quella riunione.
Abbiamo questa abitudine, tutta italiana, prima il cognome poi il nome, come se rispondessimo sempre al contrappello del servizio militare, fin sulla lapide al camposanto.
L’altro pugile è infatti “Jacopucci Angelo da Tarquinia”, come diceva parlando di sé in terza persona nelle interviste. Riccioli biondi, attaccabrighe, due occhi da esaltato su una faccia e un’adolescenza da Ninetto Davoli, un sorriso sbruffone molto affascinante, oltre a “Clay dei poveri”, senza troppa fantasia si scriveva di lui “viso d’angelo”. Di sicuro avrebbe affascinato PPP. Di sicuro piaceva molto alle donne, anche se la sua vita era con l’amatissima Giovanna, che da tre anni gli aveva dato un figlio, Andrea.
Si scriveva e si diceva di solito male di lui: “chiacchierone”, “tracotante”, “se avesse veramente del sangue nelle vene”. “Ha paura”. “Non ha incontrato nessuno”. Colpisce e scappa, “il bello di Tarquinia”. È un freddo calcolatore, un “public relation man” non un boxeur.
Quando perse per la prima volta per k.o. a novembre del ’77 un giornale scrisse che il pubblico “ha particolarmente apprezzato la dura punizione toccata al chiacchierone Jacopucci, il loquace pugile di Tarquinia, che tanto si vantava di aver sempre lasciato il ring con le sue gambe, stavolta ha colmato questa lacuna”.
Lui rispondeva a tono, con una proprietà di linguaggio insolita sul ring, e con una sicurezza, almeno apparente, che non lo faceva amare: “C’è qualche segno? Qualche cicatrice, un livido forse?” chiedeva mostrando la sua faccia pulita dopo un combattimento (se cercate le immagini di quando vinse il titolo italiano, noterete la differenza con la “faccia piena di pugni” dell’avversario Romersi).
Ha quasi trent’anni, Jacopucci Angelo, il mercoledì 19 luglio del 1978. Il pugilato gli ha dato benessere, pochi mesi prima ha potuto aprire un negozio di mobili. Il pugilato gli ha lasciato la fedina penale pulita, scrive di lui un giornalista, con cinismo non da poco.
Il giorno dopo l’incontro perso a novembre, a Torino contro l’inglese Lucas, il maggiore manager dei boxeur italiani dell’epoca dichiara che sul k.o. di Jacopucci c’avrebbe scommesso. Lui dopo quella sconfitta lascia il suo storico allenatore, e entra proprio nella scuderia di pugili di quel manager, Branchini.
Per la sfida con Minter ottiene così una borsa di 12 milioni di lire (“Clay dei poveri poi non direi”). Un altro giornalista scrive però che non lo si dovrebbe mandare al massacro, contro un avversario ben più forte di lui, oltretutto dopo l’incontro torinese terminato con un terribile pugno alla tempia.
Lui sale sul ring, nella sera di Bellaria, determinato a dimostrare che non è solo un “chiacchierone”, che non è solo tutte le cose che scrivono di lui. Purtroppo cambia il suo modo di combattere e per una sera evita quel colpire e scappare, appunto da “Clay dei poveri”, che gli aveva consentito tutte le vittorie, e accetta di giocarsela a botte con l’inglese.
Oltretutto l’incontro va sulla Rai, ragione in più per apparire, per riconquistare quel pubblico che pochi mesi prima aveva “particolarmente apprezzato la dura punizione toccata al chiacchierone Jacopucci”.
Sa che si avvicina la fine di una carriera comunque abbastanza buona, che resterà documentata sì da filmati perfettamente “d’epoca”, fin dall’accappatoio sponsorizzato Fernet Branca, o dalla pubblicità dei gelati Gis sul cartello col numero del round successivo alzato dalla ragazza in short e “cossialunga” che tra le urla del pubblico gira il ring durante ogni intervallo, ma soprattutto resterà raccontata dagli “ha paura”, dai colpisce e scappa “il loquace pugile di Tarquinia”.
L’ultimo cartello con la pubblicità dei gelati Gis alzato dalla ragazza in short e “cossialunga” è quello col numero 12.
Al dodicesimo round il combattimento, violentissimo, termina per quattro pugni consecutivi alla testa di Jacopucci Angelo, ormai incapace di difendersi, poi caduto tra le corde. Ha perso ma si rialza, e anche se ha perso mostra il suo bellissimo sorriso a un pubblico che, una volta tanto, gli riconosce il coraggio con cui si è battuto. L’ultima immagine televisiva è proprio il suo gesto simpatico e sorridente, a dire sì, peccato, ma avete visto, come mi sono battuto?
Si complimenta col rivale e ci va persino a cena con Minter, la “nobile arte” assomiglia al rugby in questo.
Tornano insieme all’albergo, e per strada Jacopucci Angelo vomita, ha bevuto troppo pensa l’inglese, invece è l’esplodere di quell’emorragia cerebrale che lo uccide, nonostante due interventi chirurgici, all’ospedale di Bologna il venerdì 21 luglio 1978, mentre a Bellaria un temporale attenua il caldo umido.
Giovanna decide di donare gli organi di Angelo, e aggiungeremmo volentieri “generoso” come ultimo degli aggettivi che sono stati scritti su di lui, ma la magistratura ordina l’autopsia e proibisce l’espianto.