di Lorella Torti e Elvio Bombonato
L’amica Lorella, che fu mia brillante allieva all’Istituto Tecnico Commerciale “Noè” di Valenza 35 anni fa, mi disse che una poesia in terza elementare le era piaciuta per il messaggio: un dono disinteressato che non chiedeva di essere ricambiato. Una bimba di otto anni oblativa è una rarità; le chiesi di leggerla. Mi colpì subito il libro di lettura: DIALOGO, casa editrice Aristea di Milano, anno 1972, autore, con altri due, GIUSEPPE AMADIO, maestro e intellettuale alessandrino dotato di un’erudizione magmatica, testo che fu lodato in una conferenza da Mario Lodi, allora nume tutelare di Cooperazione educativa.
In effetti è bellissimo: contiene circa 150 tra prose e poesie (persino due haiku giapponesi) con foto e disegni a colori e le riproduzioni di 11 celebri dipinti da Giotto a Carrà.
Stupisce l’anno precoce. Nel 1967/68 due maestri genovesi Marcella Bacigalupi e Piero Fossati diressero un gruppo di lavoro, ospitato dalla CGIL Scuola in vicolo S.Matteo, che esaminò 263 testi delle elementari, risalenti perlopiù all’anteguerra appena rinfrescati (Olga Visentini, Renzo Pezzani e Giuseppe Fanciulli su tutti), ricavandone uno STUPIDARIO (indimenticabile il “cuccurruccucù è arrivato Gesù”) ciclostilato nel 1969 (un piccolo contributo lo diedi anch’io; ne conservo religiosamente una copia, fotocopiabile per chi fosse interessato), che fece scalpore al punto che in pochi anni tutte le case editrici rinnovarono radicalmente i loro testi, oltretutto pagati dallo Stato.
Dell’idea si appropriò UMBERTO ECO, il quale nel 1972 pubblicò, insieme a MARISA BONAZZI, I pàmpini bugiardi. Indagine sui libri al di sopra di ogni sospetto. I testi delle scuole elementari, editore Guaraldi di Rimini, citando doverosamente il lavoro pionieristico dei maestri genovesi.
Ha uno schizzo di Pinocchio in copertina, ed è frutto dello spoglio di 82 testi.
Pertanto in questo clima di rapido cambiamento, DIALOGO dell’Aristea appare un miracolo di cultura e di lungimiranza, fin dal presupposto che i bambini di 8/10 anni non siano ontologicamente decerebrati.
A questo punto desideriamo che i lettori godano di questa splendida poesiola, che riproduciamo con il disegno originale.
di Umberto Saba
E l’acqua zampillò dalla sorgente:
“Che vuoi per dissetarmi?”
le chiese un fiorellino.
“Niente!”
E l’acqua ruscellò viva e gentile
(5)
per la scesa del monte profumato,
fino a un campo di grano appena nato.
“Che vuoi per dissetarmi ?”
Le chiesero vocine fioche fioche.
E l’acqua si donò, dicendo: “Niente !”
(10)
Il grano maturò, si fece spiga,
e l’acqua ora danzava nel mulino:
“Che vuoi per macinarci?”
“Ancora niente!”
E il pane uscì dal forno.
(15)
La mamma lo guardava e l’ammirava.
“Che vuoi per un pan bianco?”
Le domandò il figliuolo più piccino.
La mamma glielo porse dolcemente
E, sorridendo, gli rispose: “Niente!”
(20)
La poesia è stata scritta per i bambini della scuola elementare. Presenta un ‘Italia ancora in prevalenza contadina (l’acqua, protagonista, il grano, il mulino, il forno, il pane), nella quale il pane è un bene prezioso.
Saba era il cognome della madre, ebrea, il padre era cattolico e abbandonò la madre prima che Umberto nascesse; saba in ebraico significa pane. Su questo avvenimento, importante e terribile, Saba scrisse un sonetto bellissimo nell’ “Autobiografia”: “Mio padre è stato per me l’assassino“
(l’epiteto usato dalla madre).
La poesiola è delicata, spontanea, e teneramente didattica nella figura della mammina, che la esalta e la chiude.
Notare: il pane è bianco, quello che le famiglie contadine mangiavano raramente.
Non ricordo più il titolo di un racconto in cui il bambino ricco scambia il suo pane bianco con quello nero del bambino povero e lo mangia con la voluttà della trasgressione, per fare un dispetto alla madre o alla governante.
La poesia si sviluppa per gradi in un tranquillo crescendo; si fonda sull’iterazione della struttura portante: e l’acqua…le chiese…niente!, le anafore che scandiscono lo svolgersi della narrazione.
E’ una poesia ecologica ante litteram: esalta l’acqua, elemento fondante, il principio della vita (Talete). Per Eraclito essa rappresenta il divenire: panta rei (=tutto scorre): “Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume”.
La poesia infatti rappresenta un piccolo ciclo vitale, dalla sorgente in progressione fino al bimbo che mangia il pane bianco donatogli dalla mamma.
E’ interessante anche perché una parola di valenza negativa.
NIENTE, la mot-clé,(è anche il titolo) assume qui nel contesto valenza positiva e rappresenta il dono disinteressato, per di più iterato nel crescendo: dal fiorellino al campo di grano, alla spiga alla farina, dal forno al pane dato al bimbo. Le scansioni sono pertanto cinque o sei.
La metrica alterna l’endecasillabo sovrano, vv: 1, 5, 6, 7, 9, 10, 11, 12, 16, 18, 19, 20; ai settenari dei vv. 2, 3, 8, 14, 15, 17; il v. 4 è il bisillabo niente (non ternario: negli endecasillabi 10 e 20 infatti vale due sillabe); quinario il v. 14.
Saba è un metricista esperto; non ci sono enjambement perché la poesia è destinata ai bambini: dunque ogni verso contiene una proposizione. La sintassi, diversamente da quanto accade in Saba, che la scrive complessa con iperbati, anastrofi, inversioni, per sollevare il tono delle sue liriche, è qui piana e scorrevole, come peraltro l’acqua protagonista.
Alcuni arcaismi non smentiscono il “lessico rasoterra” (Mengaldo) proprio dell’idioletto sabiano: zampillò, ruscellò, scesa (aferesi di discesa), figliuolo col trittongo latineggiante.
Notevoli alcune immagini: l’acqua “gentile” personificata, che parla antropomorfica col fiorellino, col grano, con la spiga, fino al dialogo conclusivo mamma/bimbo. Monte profumato; vocine fioche fioche delle spighe “appena nate”; l’acqua si donò: efficace il riflessivo compl. oggetto: se stessa; si fece anziché l’atteso divenne; danzava nel mulino analogia (metafora forte); “lo guardava e l’ammirava” notevole dittologia per l’accostamento dei due verbi; l’inciso, sorridendo, col gerundio crea una pausa nella dizione, imponendo una sosta a sottolinearlo.
Tempo del verbo dominante: il passato remoto, tempo narrativo per eccellenza, solo due gli imperfetti durativi per la madre che attende il pane presso il forno; il presente nei dialoghi, ovviamente.
Insomma, una poesia per bambini desueta, di un’Italia scomparsa, che all’analisi risulta più profonda di quanto la semplicità dell’elocuzione faccia supporre.