«Posso avere l’onore di averla a colazione da Gigi il Troione? Ho già prenotato»
Il ragionier Ugo Fantozzi, alla signorina Silvani
Come mi ha segnalato un amico arguto, sulle pagine di un noto sito di informazione è comparsa questa bislacca dichiarazione, “cancellata” dopo qualche ora: “Eppure”, come racconta Mario L., che lavora al Gemelli, “lo hanno lasciato solo come un cane: non c’era nessuno nei venti giorni in cui è stato ricoverato da noi. Non lo è mai venuto a trovare neanche un familiare. Aveva piaghe alle gambe per via del diabete ed erano una cosa terribile, oltre che un dolore senza fine: dovevamo medicarlo ogni mattina. Aveva sete ma non potevano dargli acqua, gliela poteva dare solo il medico, sempre per il diabete. In clinica privata, come hanno raccontato i giornali, non è mai stato portato: è morto da noi, da solo, senza nessuno accanto”.
Probabilmente questa dichiarazione, poi “scomparsa” misteriosamente, è frutto della mitomania di qualche tanghero in cerca di notorietà. Male a quel giornalista che l’ha raccolta (e trascritta) senza verificarla.
Sembra incredibile che un uomo di 84 anni come Villaggio venga lasciato morire da solo, in mezzo a sofferenze insopportabili. Uno come “Fantozzi”, che ha lasciato un’impronta nel lessico e nel comportamento in più di una generazione… uno come lui, che post mortem ha fatto ridere tutti, di cui tutti erano amici, che a tutti ha lasciato un’idea intelligente e, ovviamente, le sue ultime parole.
Leggete le interviste: vip e pseudo tali si vantano di averlo conosciuto, con la stessa confidenza con cui Calboni (cialtrone inarrivabile della saga fantozziana) salutava amici inesistenti a Courmayeur (“Ciao Claude, come va?” “Andrea, i miei due soliti”). No, non posso credere che un attore che ha lasciato un segno così profondo nel costume e nell’immaginario collettivo sia stato lasciato marcire in un letto d’ospedale.
E’ che ormai di chiunque si può dire tutto e il contrario di tutto, e c’è sempre qualcuno pronto a trascriverlo, senza problemi. Tutto fa brodo, tutto fa rumore. E si muore così, in un letto di ospedale, mentre gli avvoltoi sono lì, virtualmente di fianco al predestinato, a fare un macabro conto alla rovescia, su Facebook o nelle redazioni dei giornali. Ma non per parlare del morto, la qual cosa avrebbe un senso; semplicemente, per parlare sempre e solamente di se stessi.
Chi sarà il prossimo? Dieci, nove, otto…