seconda parte (qui la prima parte)
Da ultimo analizzo Fischnaller, investimento importante del mercato della passata stagione, una punta esterna destrorsa a sua agio nel 4-3-3. Questo ex giovane sud tirolese ha sostanzialmente deluso per tutta la stagione, e purtroppo ha momenti in cui sembra possa spaccare il mondo. In realtà diventa prevedibile e monotono nelle sue giocate e spesso fumoso.
A ben guardare dunque Magalini confeziona un organico riso e fagioli nel quale, qualunque modulo tu decida di applicare, sei sempre scoperto di almeno due ruoli.
Braglia opta per il super collaudato 4-4-2, anche perché è l’unico modulo che, anziché essere scoperto di almeno due ruoli come abbiamo visto, la carenza si limita ad uno solo: il centrocampista centrale da accoppiare a Cazzola, vista la situazione fisica generale di Mezavilla e qualunque aggiustamento in corsa è relativamente semplice.
Attenzione: fin qui non ho parlato di qualità dei singoli, in qualche caso straripante, ma delle caratteristiche dei nostri calciatori in organico rispetto al modulo. Comunque sia, dopo la fase precampionato senza squilli particolari, la squadra parte in campionato sparata. A scanso di equivoci, praticamente per tutta l’andata, non ho mai visto in questa categoria una squadra giocare un 4-4-2 così evoluto , basato su una difesa alta, cambi di gioco puntuali e spiazzanti, sovrapposizioni continue da parte degli esterni sulle fasce: un collettivo che gioca un calcio a tratti sontuoso, a tratti devastante. Quando si raggiungono questi livelli di organizzazione è ovvio che gente come Gonzalez va a nozze, per cui la solita tiritera per la quale “calato Gonzalez è calata la squadra“ va riletta, secondo me, in questo modo “calata la squadra è calato Gonzalez“.
Chiaro che non è possibile schematizzare tutto e certe verità a volte si compenetrano ma, fino a quando si riesce a pressare alto riconquistando palla nella metà campo avversaria, gli esterni e gli attaccanti vanno a nozze perché hanno poca strada da fare per raggiungere la zona calda e si trovano di fronte difese che non hanno avuto il tempo necessario per creare densità e organizzarsi per sistemarsi sulle nostre punte. Così facendo si capisce pure perché, pur giocando in seconda linea rispetto al passato, Iocolano e Marras arrivino facilmente in zona rossa sfiancandosi la metà.
Inoltre, se pensiamo alle volate in avanti dei nostri esterni bassi, riusciamo pure a comprendere perché Braglia avesse deciso di impostare la squadra con gli esterni di centrocampo “a piedi invertiti“, facilitando loro così la giocata lungo linea o, a scelta, la sterzata verso il centro. Certo, con due esterni di centrocampo con caratteristiche così offensive e facendo pressing e densità a volte nella metà campo altrui si rischia ma, non appena si entra in possesso palla, il potenziale offensivo si moltiplica in modo esponenziale. Inoltre questo atteggiamento tattico obbliga l’avversario a difendere sempre il campo in tutta la sua ampiezza. Il meccanismo funziona però se ogni elemento in campo è disponibile ad aiutare l’altro e se la squadra sta bene perché, se salta il primo mattone, cade tutta la struttura.
Arrivati nel mese di dicembre con il vento in poppa Braglia coglie, da vecchio bucaniere e dall’alto della sua esperienza, che l’origine dei primi scricchiolii sono preoccupanti per due motivi: perché questo gruppo è poco incline ad essere spietato nel chiudere le partite (cosa che puntualmente il mister ripete in conferenza stampa ma in pochi ci fanno caso abituati a parlare del nulla e ascoltare il vuoto pneumatico) e che, fisicamente e mentalmente, questa squadra è fragile come una sposina lasciata dal fidanzato ai piedi dell’altare.
Affermo che Braglia si sia accorto di questi problemi per un fatto semplicissimo, perché lo ha detto pubblicamente a margine della partita che precedeva l’avvio del mercato di gennaio. Alla banale domanda “Lei mister cosa chiederà alla Società per il mercato che sta per cominciare?“ il mister, un po’ cripticamente invero, così risponde “Quello che ho bisogno non ve lo dico ma parlerò con la Società e farò presente certe esigenze. Una cosa però vi posso dire: io non ho sposato nessun mio giocatore e li possono pure cambiare tutti se ne arrivano di migliori.“
La risposta, che a tanti è sembrata più una provocazione che una dichiarazione d’intenti, cosa sottintendeva senza, naturalmente, dichiarare guerra allo staff e ai giocatori? Che i problemi erano ben più grossi di quello che faceva credere la classifica ed il cammino casalingo della squadra. In questo girone d’andata trionfale però succedevano cose davvero curiose: tutti i membri della difesa, per esempio, criticavano parlando con amici fidati (e con molta circospezione, s’intende) il mister accusandolo dei reati più disparati.
Proviamo a capire il perché di questo sputtanamento inusuale vista la situazione in classifica a quei tempi. Due cose: perchè la difesa era il fortino degli uomini legati a Magalini ma, soprattutto, perché il fatto di dover giocare così alti sottoponeva il reparto (e quindi loro stessi) al rischio reale e continuo di figure barbine e ad uno stress in campo insopportabile.
Sarà un caso ma, non appena arrivato Pillon, la squadra ha arretrato il proprio baricentro di almeno una quindicina di metri e non mi pare che, giocando in una posizione più “confortevole“, Celijak abbia lesinato i suoi errori da maldestro principiante o Sosa abbia incantato da centrale. Tornando a fine dicembre scorso immaginiamo, nell’incontro dedicato alla pianificazione del mercato alla presenza di Di Masi e DS, cosa si sono detti i tre capisaldi della Società. Braglia avrà chiesto almeno tre giocatori grandi, grossi ma, soprattutto, dotati di autorevolezza e personalità.
A quel punto Magalini, messe in discussione certe sue scelte e certi “suoi “ giocatori (e ben sapendo che fosse per lui impossibile cedere certi giocatori perché li aveva strapagati o aveva concesso loro contratti fuori mercato) si inalbera. Prima si sarà richiamato alla classifica invidiabile poi al salto nel buio che siffatta piccola rivoluzione poteva rappresentare. Avrà liquidato il mister dandogli del matto e procede per la sua strada detta anche “Via dei Gonzi“.
Infatti arriva il nome giusto per intortare il tifoso credulone (Evacuo) e alcuni giornalisti i quali possono così comporre le loro vacue lenzuolate con la solenne minchiata che così ad Alessandria si andava così a ricomporre un tandem d’attacco che aveva portato il Novara in Serie A. Nel frattempo arrivano pure tre ragazzotti senza né arte né parte (in tre stagioni mai un’intuizione genale che costi poco da parte del nostro DS, eh!) e la partenza di Marconi per far posto al bomber campano il quale arriva qui con la forma fisica di un Dino Zandegù settantenne. A quel punto il Mister, prigioniero dei risultati che lui stesso ha ottenuto, gestisce la situazione sperando di arrivare fino in fondo stringendo i denti. Situazione kafkiana quindi: il DS si chiama fuori facendo pesare che quei giocatori (tranne uno) scelti a casaccio sono arrivati grazie a lui e se il mister teme per il futuro vuol dire che è un incapace.
La realtà è che dietro un appannamento fisico e nervoso del tutto normale questo gruppo diventa pavido, perde autostima e la convinzione necessaria per ribaltare circostanze e partite. Non si pressa più ai limiti della metà campo, la squadra si allunga sul terreno di gioco come una maglia di finta lana lavata e centrifugata, i terzini si guardano bene dal sovrapporsi agli esterni alti e, quella che sembrava un’invincibile macchina da guerra, diventa una squadretta normaloide con due o tre elementi superiori alla media che la tengono in linea di galleggiamento. Non esiste all’interno dello spogliatoio un leader in grado di raccogliere e razionalizzare le forze rimaste e lo stesso Braglia, già separato in casa con il DS, è attaccato dall’interno e dall’esterno. Non c’è niente di peggio che vedersi sgretolare un giocattolo davanti agli occhi per i motivi e nei tempi che tu avevi previsto. Inoltre, magari per tutti questi motivi, Braglia perde entusiasmo, rabbia e motivazioni (colpa grave) e viene sostituito da Pillon.
A quel punto è la vittoria (di Pirro) di Magalini che pensa: basta vincere in trasferta nel Lazio e si conquista la cadetteria senza quel rompiscatole toscano tra le palle, dimostriamo che quello che non funzionava in realtà era il Toscanaccio e io avevo ragione su tutti i fronti. Pillon d’altra parte è un travet che arriva qui per gestire il gestibile, di suo ci mette una prudenza infinita e non recupera neppure un ventesimo della brillantezza d’inizio stagione. La difesa adesso gioca davanti alla propria area di rigore, Sosa, tornato titolare (ma va?), contribuisce a far rinculare tutta la squadra che adesso si spalma in un’ottantina di metri in lunghezza sul campo.
E non dimentichiamo i tre errori determinanti di Vannucchi che, sul finire del campionato, sono stati un’autentica mannaia per un gruppo sfinito e pauroso.
Pillon si è dimostrato impalpabile, utile alla causa come cambiare il registratore di cassa in un bar mal condotto. Nel frattempo Magalini è licenziato ma intanto sarà proprio lui il DS ombra anche per la prossima stagione perché ci lascia in retaggio una decina di giocatori già contrattizzati per il campionato a venire.
Adesso vedremo come si muoverà il nuovo DS Sensibile e che tipo di squadra sarà in grado di costruire, visto le zavorre che si trova nelle palle. Al netto dei “nomi“ che hanno infiammato gli sportivi mandrogni in queste ultime tre stagioni, e sui quali possiamo tranquillamente scaricare buona parte degli obiettivi mancati (tipo Iunco, Fischnaller, Guazzo, Iocolano, Evacuo), mi pare davvero sconcertante che, praticamente ogni volta che si è investito su un giocatore destinato a dare qualità al collettivo, la scelta cadesse su un giocatore foriero di problemi e delusioni.
Il fatto poi che buona parte della critica sportiva e del pubblico infatuato delle carriere di questi ultimi (non ho ancora ben capito chi, fra le due componenti, fosse il progenitore di questi errori di valutazione ma poco importa) ha indotto a scambiare spesso la causa con l’effetto. Questi giocatori infatti si sono rivelati, pur per cause diverse, “bidoni“ che hanno zavorrato il rendimento della squadra e non, come semplicisticamente fatto credere, fossero allenatori e dirigenti a trasformare talento puro in disastri tecnici ed umani. Va da sé, e qui ritorniamo al tema dei soldi buttati dalla finestra, che, quando si sbaglia su giocatori importanti, non c’è solo il problema delle risorse economiche che si volatilizzano ma soprattutto del tempo che perdi a ricominciare da capo la stagione dopo. E mi fermo ai giocatori che ti possono cambiare una stagione perché se pensiamo a gente come Obodo (medianaccio dotato di forza fisica erculea) ingaggiato per fare il Pirlo e poi mandato a casa quando, l’anno dopo, c’era bisogno come il pane di siffatto incontrista, mi viene da pensare male.
Adesso a Pillon è stato dato il ben servito e, penso, che in pochi piangeranno vista l’impalpabilità della sua figura visto che non è riuscito, in oltre due mesi di lavoro, a cambiare rotta. Chi piangerà invece sarà tutto il settore marketing della Società il quale si è trovato davanti ad un inimmaginabile trappolone che potrebbe diventare una insormontabile banda chiodata per i prossimi step che, in teoria, avrebbero potuto trasformare una società polverosa e autoreferenziale in una agile impresa che vende il suo prodotto pregiato in tutta Italia.
E se, dico io, l’Alessandria non entra sul “mercato“ degli sponsor con le carte in regola dimentichiamoci di conquistare e, soprattutto, consolidare categorie oltre la Legapro. L’altra categoria che piange è quella dei frequentatori abituali del parterre del Mocca i quali, per colpa della ristrutturazione dello stadio, vedranno dissolversi quei pochi gradoni sotto la tribuna che rappresentavano il loro trespolo durante la partita. Se ne facciano una ragione pensando che il nostro stadio diventerà un’autentica bomboniera, un tempio del calcio riveduto in chiave moderna, confortevole e sicuro. E se qualcuno di loro non potrà più godere dello sputo indiscriminato nei confronti di segnalinee e avversari pazienza, ma tutti noi avremo guadagnato un po’ di stima da parte di chi non ci conosce.