La purezza delle frasi della cara Lucia Lunati non può non colpire l’animo del lettore. Ancora una volta ho piacere di raccontare ai miei lettori alcune pagine tratte dal libro La mia cara Alessandria, edito nel 1968 dalla Tipografia Ferrari-Occella di Alessandria in una edizione di 250 esemplari tutti numerati. In seguito l’amico Ugo Boccassi[1] ne ha curato una ristampa.
L’anziana signora, nell’annotare i suoi ricordi della più verde età traspone tutto il sentimento e la purezza del suo animo di ragazzina, riuscendo a dipingere con gusto tutte le scene che la scrittura via via le riporta alla mente.
Ne nasce un ricordo così vivido, così ben delineato da sembrare un film… magari in bianco e nero. Ecco il seguito della scampagnata a Marengo dell’allegra brigata femminile.
“Arrivati a Marengo si trovava una folla festaiola che oltre alle famose frittelle (o farciò) mangiava delle poderose insalate di «sarsèt» con uova sode. Questa insalata era di campo, la prima a nascere in primavera e occorreva una bella pazienza a coglierla perché era un piccolo ciuffo di foglioline verdi e tenere gustosissime. Ora questa specie di insalata viene coltivata apposta negli orti, è prosperosa e meno fastidiosa da cogliere, ma non ha nulla a che vedere con quella di campo o vigna che chi ha tempo ancora la può trovare e cogliere nei posti dove non è ancora arrivata la civiltà industriale. Nel cortile del rustico del castello vi era la trattoria ove erano preparate le tavole con tutti gli avventori rumorosi e allegri ed era un piacere vedere tanto appetito mentre un acre e nauseante odore d’olio fritto annunciava la cottura dei «farciò». La mamma però non ci lasciò mai gustare quelle frittelle, diceva che non erano buone e soprattutto non era bello fermarsi in mezzo a tutta quella gente troppo allegra ed allora si tirava diritto verso la rimessa ove vi era la famosa carrozza dell’imperatrice Giuseppina che per quel giorno era visibile a tutti. Negli altri giorni ci voleva la scorta del custode che per solito era visibilmente frettoloso e sbrigativo ed esigeva la mancia. Dopo la carrozza passavamo alle sale d’armi che ricordo dai muri con l’intonaco umido e malandati ove stavano appesi trofei di spade e armi di ogni genere. A terra su pavimenti di cotto essi pure umidi ma ben puliti, vi erano le bombe raccolte sul campo di battaglia, appoggiate su una specie di triangolo di legno messe a castelletto, tante erano intatte e altre a pezzi da cui si poteva vedere lo spessore del ferro con cui erano fabbricate. Nella prima sala si poteva ammirare ben custodita in una vetrina la poltrona, un cappello, il calamaio con penna d’oca, che ci raccontavano servirono a Napoleone mentre invece, come appresi molto più tardi, Bonaparte a Marengo i giorni della battaglia non c’era stato per niente. Anche i miei tempi usava falsificare un po’ la storia non come oggi a scopo turistico ma per millanteria.
Dopo una breve visita al giardino ci apprestavamo al ritorno. Prima però devi salire in carrozza era doveroso andare a salutare l’eroe senza naso, il generale Desaix, vicino all’ossario. Un busto di marmo di modeste proporzioni era appoggiato su di una colonnina con dicitura sbiadita ed il naso rotto. Io me lo figuravo rappresentato più in grande come avrebbe dovuto essere e con aria più marziale e venni via sempre delusa come se gli avessero fatto un torto. Era per tutti il generale valoroso e generoso che aveva reso un gran servizio a Napoleone quando stavano per perdere la battaglia e tutti ripetevano la frase: «Non è ancora notte» che gli avrebbe pronunciato e raccolte le truppe andò a combattere vincendo e cadendo da eroe. Questa è la leggenda che era sulla bocca di tutti e in quale limite o misura sia la verità, non mi interessa. Quello che conta sono una immagine ed un ricordo.
Di Napoleone, ritratto in marmo, in piena figura, nel cortile d’onore della villa non me ne importava niente.
Dopo tanto vedere si faceva ritorno a casa contente e impolverate perché le carrozze che si incontravano sollevavano un polverone da non vedere più la strada al punto che a volte si era costretti a rallentare se non a fermarsi. L’asfalto era allora sconosciuto, come impiego stradale. Forse serviva come medicinale per curare la tosse. In quanto alle automobili, erano una mostruosa eccezione ed io non le ricordo. Ora, quando passo davanti al castello ripenso con molta nostalgia a quelle semplici scampagnate a base di lupini e mele che mi davano tanta gioia da lasciarmi ancora oggi un caro ricordo”.
Per me, collezionista attento di antiche cartoline, riesce abbastanza difficile scovare soggetti inerenti a pum mujà o ai sarzët e tantomeno alle carrube; per nulla difficile invece rintracciare cartoline dei luoghi citati dalla protagonista delle belle storie di Lucia Lunati lette settimanalmente.
Ecco allora proposte ben cinque antichissime cartoline di Marengo. Una di esse prodotta e spedita proprio nel 1900, epoca delle scampagnate festive di cui l’Autrice racconta.
Una curiosità: in occasione del Primo Centenario della Battaglia di Marengo fu prodotta una interessante serie di soggetti (almeno sei) in cui compare il fronte ed il verso di un Marengo, la moneta d’oro che prende il nome proprio dalla località della famosa battaglia.[2]
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[1] La mia cara Alessandria / Lucia Lunati. – Alessandria : U. Boccassi e C. Fissore, stampa 1997. – 127 p. : ill. ; 17 cm. (In appendice: Galleria dei primi ricordi alessandrini di Fausto Bima).
[2] Il marengo, o napoleone, è una moneta d’oro del valore di 20 franchi coniata nel 1801 dalla Repubblica Subalpina per celebrare la vittoria di Napoleone Bonaparte contro gli austriaci il 14 giugno 1800 (da Wikipedia).