Oggi bambini e ragazzini, quando i genitori decidono che è arrivato il momento di provare a farli diventare calciatori, vanno in una Società che si cura di calcio giovanile e lì, con strumenti, attrezzature e strutture di prim’ordine, avviano i campioncini in erba ai misteri del foot-ball (come si diceva una volta).
Nei tempi passati invece bastava una strada ampia e poco trafficata, il cortile di un condominio, l’aia di una cascina o un prato e venti frugoletti cominciavano a tirar calci a un pallone. E allora le porte si delimitavano in qualche modo (cartelle da scuola, mattoni, segni sui muri ecc.); le squadre si formavano attraverso criteri di scelta che cambiavano tutti i giorni; le scarpe di noi ragazzini erano quelle che mettevano anche a scuola, il pallone invece (unico particolare davvero indispensabile) era il vero problema. La sfera magica difatti o era acquistata dopo una faticosa colletta fra i ragazzi oppure qualcuno di noi lo portava da casa.
Inutile ricordare che il campioncino della compagnia difficilmente portava anche l’attrezzo, mentre chi metteva a disposizione il pallone lo si trovava spesso fra i più scarsi della combriccola. Il fatto di “portare il pallone” dava però al suo proprietario il privilegio di accasarsi nella formazione più forte, o di poter ricoprire il ruolo preferito. D’altra parte “senza pallone non si gioca…“.
Sabato scorso invece, a margine della vittoria dei Grigi contro il Renate, il Presidente Di Masi ha richiamato le altre squadre del girone ai loro doveri di etica sportiva, appello prima accolto con un’ovazione dai giornalisti in sala stampa poi bollato con critiche ed ironia dagli stessi dopo l’imbeccata del “Consiglio dei Savi” editato da FB.
Ma cosa c’entra un pallone disputato da venti ragazzini in un prato qualunque tanto tempo fa con l’editto di Di Masi? C’entra, c’entra.
Perché l’Alessandria martedì si è vista appioppare dal Giudice Sportivo una multa per aver tenuto un “comportamento gravemente antisportivo“ da parte della Società mandrogna in occasione di Alessandria- Renate. Bel colpo dopo le parole di Di Masi tre giorni prima. E sapete quali sarebbero le motivazioni di tal esecrabile comportamento? Ve lo dico: ad un certo punto della partita in oggetto sarebbero scomparsi prima i raccattapalle poi addirittura i palloni (ritengo che la cosa sia successa dopo essere passati in vantaggio, ma non ci giurerei … ). E, come abbiamo visto, senza pallone non si gioca né sul prato dietro casa né una finale di Champions.
Nella fattispecie il risultato è stato che le parole di Di Masi circa la lealtà sportiva, parole che ritengo non spostino e non sposteranno nulla rispetto alle motivazioni dei giocatori del Livorno sabato prossimo, sono state un autogol da parte del nostro Presidente (autogol che, pure questo, ritengo ininfluente sul risultato finale del nostro girone).
Quello che chiedo invece è il nome di quel genio della lampada che ha pensato e gestito l’operazione “bambole non c’è più un pallone“ all’interno della Società mandrogna. E, voglio dare di me un volto pragmatico e disincantato, non intendo indicarlo al pubblico ludibrio per ragioni etico-sportive (mi scappa da ridere con quello che ho visto e sentito in tanti anni di calcio commentato) ma solamente per sottolineare che anche certi banali “giochetti“ bisogna saperli fare, e chi li fa non deve essere né rozzo né maldestro perché lavora per una Società che fa della propria immagine un punto qualificante della propria attività.
Speriamo quindi che, in futuro, a questo signore non sia demandato il compito di tentare di procrastinare il fischio d’inizio di una partita al Mocca di 5/7 minuti (cosa utile in certe situazioni e già sperimentata con successo più e più volte ad Alessandria) sennò questo si inventa di abbattere, appena prima del fischio d’inizio naturalmente, la torretta del nostro amato stadio. Comunque sia: W i palloni che rotolano in campo! W la torretta del Mocca ancora in piedi!