Carissimi lettori, dal momento che ho intrapreso l’analisi degli scritti di Lucia Lunati, tratti da La mia cara Alessandria, continuo – anche oggi – a parlare (trascrivendola) di una interessante pagina della nostrana «non scrittrice», come la definisce Cesarino Fissore nelle brevissime note introduttive al piccolo e graziosissimo libro stampato nel 1968.
Ringrazio nel frattempo l’attento professor Claudio Zarri per avermi aggiornato con interessanti notizie relative all’Autrice. Non ricordavo più, infatti, che la signora Lucia di cui si parla fosse la mamma del ben più famoso Fausto Bima, come anche evidenziato dall’Enciclopedia alessandrina – I personaggi, a cura di Paolo Zoccola (Editrice So.G.Ed. / Il Piccolo, 1990).
Grazie professore, mi segua ancora in questa rubrica e spero di non deluderla con storie troppo noiose o, peggio ancora, con errori grammaticali…
Ed ecco la pagina di Lucia Lunati su cui ci piace soffermarci oggi.
“Altro ricordo di via Mazzini ove ho passato la mia prima età è una coppia di coniugi che avevano una bella casa quasi all’angolo di via Ghilini con via Mazzini. Era un palazzotto di soli due piani con facciata in paramano, ben tenuto, con finestre a doppi vetri durante l’inverno e al pianterreno vi erano belle inferriate ben sagomate pulitissime, ed il portone in barocco sempre lucido come verniciato di fresco con poderose maniglie e battenti di ottone brillanti. Era insomma una casa che si vedeva abitata da gente di gusto signorile e ricercato.
Ci stava un noto avvocato Persi non di Alessandria ma oriundo torinese che aveva preso in moglie una certa signorina Boriglione. Questi coniugi, giovani e affiatatissimi, facevano vita piuttosto brillante con l’élite della città. Oltre tutto, la cosa più eccezionale e segnalata, la signora andava in bicicletta non senza meraviglia per allora.
La ricordo benissimo vestita con uno spolverino grigio lungo fino ai piedi, un cappellino avvolto da un velo leggero e svolazzante alla Isadora Duncan, e quando passava veloce in bicicletta tutti si voltavano a guardarla con curiosità non priva di maldicenza per l’audacia di usare quel mezzo di locomozione quasi scandaloso per una signora suo pari perché a volte nel pedalare si poteva scorgere qualche piccolo lembo dei pizzi e dei nastri che ornavano le culottes che allora arrivavano fino a metà polpaccio.
La signora non si stupiva di questa curiosità e critica dei cittadini, anzi per dimostrare che proprio non se ne stupiva, spavalda come era, un giorno indossò niente meno che un paio di pantaloni alla zuava, di stoffa pesante da uomo, ed in capo, invece del velo svolazzante, aveva un berretto di foggia perfettamente inglese completando la tenuta con tanto di camicia da uomo con cravatta. Figuriamoci come venne accolta questa specie di sfida! Non dico i commenti! Io di tutta questa faccenda non comprendevo e non mi rendevo conto perché mai questa signora non potesse fare le sue faccende senza dare noia al popolino.
Del resto poi da parte mia avevo solo una grande ammirazione per la sua bicicletta che credo forse una fuori serie. Aveva i cerchioni in legno chiaro sempre pulitissimi (credo però che fuori città ci andava ben di rado), un bel manubrio lucente fatto a baffo all’insù con le manopole poderose che avrei giudicato di avorio sulle quali la signora si appoggiava quasi maestosamente mentre suonava a ripetizione un brillante campanello che squillava ben forte mentre la gente si fermava al suo passaggio ed il marito la seguiva compiaciuto di questa scena.”
Ecco una gustosa pagina d’epoca, proprio una ventata di storia spicciola della nostra città. La signora Lucia, testimone oculare (classe 1891), si diverte nel raccontare le vicende di un’altra signora alessandrina che dimostra essere molto particolare. Si può comprendere in breve come l’Autrice sia schierata dalla parte della divertita ciclista che riusciva – con la sua stravaganza – a scandalizzare e a stupire la piccola città di provincia che era Alessandria a quei tempi. Questo delizioso scritto la dice lunga sulle mode e sulle bizzarrie d’epoca e soprattutto sul pensiero antiquato e circoscritto del popolino. Scopriremo in seguito come anche la signora Lucia sia abitata da una notevole dose di eccentricità, quando racconterà le sue marachelle.
Questi scritti e tutti questi pensieri ci danno lo spunto per rintracciare un’altra cartolina della zona dalla mia collezione: l’ennesimo imbocco di via Mazzini, dalla parte di Piazza Vittorio Emanuele II.
Cartolina di Casa editrice sconosciuta in cui si vede l’immancabile vettura tramviaria in transito. A giudicare dal tramviere, appena evidente alla guida, pare trattarsi di una vettura in arrivo verso chi osserva. Questo binario infatti serviva per l’andata e per il ritorno. Soltanto seguendo perfettamente l’orario di transito la Società delle tramvie elettriche poteva garantire i giusti passaggi. Altri tempi anche in questi piccoli dettagli.
In primo piano osserviamo la vetrina del Banco Ambrosiano che in quegli anni si trovava proprio in quel punto.
Per concludere mi sembra carino mostrare tre antichi manifesti pubblicitari in cui si possono ammirare le figure di altrettante belle signore a cavallo del loro mezzo meccanico. Ognuno dei cartelloni pubblicitari – a suo modo – riesce a raccontare il sapore dell’epoca; uno – in particolare – ci regala la visione di una motocicletta dal manubrio molto simile a quello della bicicletta descritta dall’Autrice. La signora che la monta, transitando su una stradina di campagna, spaventa numerose oche schiamazzanti che fuggono davanti alla ruota, mentre una coppia di contadini in secondo piano, con stupore e con sgomento, osserva ciò che accade. Contadini inorriditi forse da tanta modernità o ancora di più dall’esuberanza della spavalda cavallerizza in sella al suo… cavallo meccanico.