Quando il disfarsi dell’Impero Romano d’Occidente e l’avvento del Cristianesimo e l’incontro massiccio con le popolazioni di tradizione germanica segnarono il dissolversi dell’Epoca Classica nella fluida lunga Età che diciamo “Medioevo”, si assistette a un radicale cambio di ogni punto di vista. Gli antichi eroi delle leggende e della Letteratura, dal Mondo latino idealizzati per creare un antecedente mitico al presente, divennero invece miti per loro stessi: favole, senza collegamento al presente se non nella loro funzione educativa ed esemplare.
Lentamente ma nettamente si ritirarono cosí gli dèi ad adornare dei loro nomi le pergamene degli etimologisti e le mappe zodiacali degli dotti, si allontanò cosí il padre Enea dalla vita degli uomini e prese il ruolo di puro esempio morale e di storia fantastica. Era la nascita del “romanzo”, termine che ha in sé la parola “Roma”: le storie ereditate dagli antichi Latini, narrate nelle corti e nelle piazze di quello che era stato il loro Impero.
E nasceva nelle corti della Provenza una nuova idea di Poesia: il canto d’amore intonato dal trovatore per la bella del castello, alla quale egli si offre come la propria fedeltà ha offerto al Signore del Feudo. Sono liriche in cui amore e politica si fondono nel lessico araldico e prezioso della Corte.
Sugli Autori stessi di queste liriche altri autori hanno ricamato storie belle quanto le liriche stesse, spesso prendendo spunti da versi sparsi o da tradizioni orali. Le cosiddette “Vite dei Trovatori” sono brevi racconti biografici che spesso nei manoscritti accompagnavano la tradizione poetica dei diversi poeti.
Una delle piú belle e note è la vicenda di Jaufré Rudel.
Poeta e trovatore occitanico, la Storia racconta che Jaufré Rudel sia morto a soli ventitré anni nel 1148 e che sia stato principe di Blaia (oggi Blaye, in Aquitania). Leggenda vuole che il giovane principe abbia udito narrare da un gruppo di pellegrini provenienti da Antiochia della bellezza della “Contessa di Tripoli” e che abbia iniziato a struggersi d’amore per questa donna mai vista; per avere l’occasione d’incontrare l’incognita amata, intanto divenuta protagonista del suo poetare, Jaufré Rudel sarebbe partito per la Seconda Crociata; mentre era per mare verso l’Oriente, però, una malattia lo avrebbe colpito e avrebbe costretto i suoi compagni a ricoverarlo pressoché morto presso un nosocomio della vicina Tripoli: qui la famosa “Contessa”, venuta a conoscenza della vicenda, lo avrebbe raggiunto sul letto di morte e fra le braccia di lei sarebbe spirato felice l’infelice principe di Blaia; la “Contessa di Tripoli” avrebbe fatto seppellire il corpo del giovane in una cappella e avrebbe poi preso voti monastici per lo sconvolgimento portato in lei dalla storia del trovatore.
Quanto rimane di tutto questo è un gruppo di circa sette liriche: delicato ed elegante, il piccolissimo corpus di Jaufré Rudel è un punto di riferimento imprescindibile per la Poesia da quel momento in avanti.
Il canto paradossale dell’amor de lonh, l’amore di lontano che il Poeta non ha mai conosciuto, tinge di un melanconico sospirare il modo canonico dell’Amor Cortese: c’è un che di profondamente liturgico nei modi in cui l’aspirazione di fede del Poeta nell’incontro con la bella si muove attraverso il metro poetico. La bellezza remota e sospirata, mai vista ma creduta sulla parola dei pellegrini, che attende oltre il mare dell’Oriente assorbe in sé la tensione d’amore del giovane principe in una tensione ardente e sublimata.
Il momento in cui la distanza sarà colmata è sperato ma non divisato; la Poesia non disegna e non designa il giorno dell’incontro, ma sceglie per suo il luogo della separazione dal quale sospirare. Il proprio della Poetica di Jaufré Rudel non è né l’allontanamento né l’avvicinamento, ma la tensione che il concetto di “distanza” porta in sé.
Le descrizioni della natura e delle cose che circondano il Poeta e il suo amare sono condotte con una grazia che rompe il respiro al lettore moderno. Sottile e policroma come il disegno di una miniatura, la lingua di Jaufré Rudel ricostruisce in modo già nuovo una tradizione che era ancora al suo nascere: il genio dell’intuizione poetica, che accompagna una sensibilità e una cultura profondissime, disegna il suo desiderio di bellezza e di paradiso attraverso le poche liriche come attraverso i capitoli di un prodigioso romanzo.