Ho sempre avuto una particolare attrazione per il mondo della magia, fin da piccolo, quando ancora i giochi di prestigio rappresentavano momenti di stupore sia per i giovani che per i meno giovani.
Credo – e me ne sono reso conto solo qualche giorno fa – che la ragione sia legata a quel tipo vestito da pagliaccetto con il mantello e la calzamaglia che zampettava dentro una vecchia tivvù.
Mago Zurlì, un nome coniato nientepopodimeno che da Umberto Eco.
Quando un grande della cultura conia un nomignolo così idiota probabilmente il nomignolo non è poi così idiota.
Mago Zurlì compariva alla “TV dei ragazzi” ed era una festa.
Il bianco e nero appiattiva il mondo del tubo catodico ma la fantasia ci permetteva di vedere tutto con colore e tridimensionalità.
Il ritmo non era rutilante e travolgente ma il nostro saper aspettare ci faceva godere di momenti di serenità che finivano comunque troppo presto, segnando l’ora della merenda e dei compiti.
In questi giorni Mago Zurlì scompare, sulla soglia dei novanta e dopo anni di allontanamento dal mondo dello spettacolo.
Era stato – diceva – vittima di un’esclusione da parte della RAI per qualche motivo, esattamente come accadde a Mike Bongiorno.
Forse fu davvero come raccontava; o forse, come nel naturale corso della vita, il rinnovamento aziendale prevalse sulle opportunità professionali.
Resta comunque una certezza, in tutti noi che negli anni Sessanta e Settanta giocavamo coi calzoncini corti e ci sbucciavamo le ginocchia: il senso di gratitudine per un mago che mago non era e che un giorno puf! scompare senza fare rumore, lasciando una traccia piccola ma profonda.
Ai nostri piccoli allievi continueremo ad insegnare “Il valzer del moscerino”, “Quarantaquattro gatti” e “Il coccodrillo come fa” sapendo che non può esistere magia migliore della musica.