Pubblichiamo e leggiamo sempre con piacere le invettive sulla sanità della nostra amica e collaboratrice Gzl, cttadina indignata, ma ancor più super informata. Anche oggi, Graziella Zaccone Languzzi traccia un quadro desolante (e documentato) delle carenze della sanità alessandrina, su scala provinciale. E poco ci consola immaginare che probabilmente a Vercelli o Novara la situazione è più o meno uguale (lì peraltro abbiamo un altro amico e attento commentatore, il professor Garavelli), e che in altre regioni, soprattutto del centro sud, va certamente peggio.
Il timore che quella che ci viene presentata dalla giunta Chiamparino come ‘riorganizzazione qualitativa ed efficiente’ sia invece un ‘pacco’ colossale per noi cittadini, per il quale siamo destinati a pagare un conto sempre più salato negli anni a venire, diventa poi certezza assoluta quando con la sanità ci tocca confrontarci direttamente, o indirettamente per nostri famigliari. E prima o poi, è evidente, tocca a tutti.
Venerdì scorso, nel primo pomeriggio, chiamo il Cup dell’Azienda Ospedaliera di Alessandria, con l’obiettivo di prenotare una visita reumatologica di controllo, per un parente. Niente di urgente, niente di straordinario: lo specialista, durante l’ultima visita a metà gennaio, ha chiesto di verificare la situazione dopo sei mesi, e sapendo che i tempi di prenotazione non sono brevi, diligentemente a marzo mi porto avanti, con l’obiettivo di ‘opzionare’ un controllo estivo.
“Eh, per quest’anno non c’è niente da fare – mi segnala al telefono la gentile operatrice -, tutti e tre i medici hanno già l’agenda completa fino a Natale: provi a chiamare ogni tanto, anche tutti i giorni, magari qualcuno dà disdetta”. Ero di ottimo umore, fuori un bel sole annunciava un anticipo di primavera. Sono scoppiato a ridere, e l’addetta con me: “ma signorina, come siamo messi?”...”Eh, cosa vuole che le dica!”. Che è poi il commento che l’alessandrino (e l’italiano) medio ormai fa in ogni contesto, anche extra sanitario. Consapevole di vivere un declino ‘di sistema’ in cui si può solo cercare di sopravvivere alla meno peggio, gestendo l’avversità.
Risultato: ogni tanto, nei giorni di vena migliore, riproverò a contattare il Cup. Senza troppe speranze, e soprattutto auspicando che non ci sia un aggravarsi tale delle condizioni di salute del paziente da dovermi costringere a modificare umore, e metodi.
Però, davvero, almeno che si eviti di prenderci in giro con indagini di customer satisfacion, o con previsioni che ci vogliono tutti ultracentenari: ma ve la immaginate l’Italia fra venti o trent’anni, con un welfare pubblico (sanità, scuola, università, pensioni) ridotto al ‘lumicino’, e orde di pezzenti che si trascinano tra una mensa dei poveri e una lista d’attesa, o meglio di speranza? Ma diventateci voi centenari in un paese così!
Ps: Intanto, sempre venerdì, in commissione Sanità della Regione Piemonte, è emerso questo quadro di mobilità ‘passiva’: le spese che la Regione deve sostenere per i piemontesi che sono costretti ad “emigrare” per farsi curare altrove è schizzata dai 251 milioni del 2016, ai 283 milioni del 2017, a 298 milioni di euro nel 2018.
Attenzione: la cifra del 2017 corrisponde a quanto speso effettivamente in cure e prestazioni sanitarie e ospedaliere ‘fuori piazza’ nel 2015, e i 298 previsti per il 2018 quanto è stato speso per la “sanità con la valigia in mano” nel 2016.