Tutti conoscono la vicenda – mitica ma quasi fiabesca – di Polifemo. Sull’isola dell’incolto ciclope, che non conosce il sale né il vino e che in una spelonca alleva i suoi ovini, giunge l’astuto Odisseo, Ulisse l’abbattitore di Troia; l’eroe è fatto prigioniero con alcuni compagni dal gigante monocolo che incomincia a mangiarli uno alla volta, ma riesce con un’astuzia a far ubriacare il carceriere: e mentre questi dorme gli cava l’unico occhio con un palo appuntito. L’ulteriore astuzia sta nell’essersi presentato col nome di “Nessuno”: cosicché all’accorrere degli altri ciclopi alle grida di Polifemo, costui deve dire che ‘Nessuno lo attacca’ e dunque rinunciare all’aiuto dei suoi compagni.
La crudele beffa sembra degna d’un racconto di Achille Campanile, quasi una farsa dove il fatto che qualcuno si chiami “Nessuno” dà inizio ad una serie di fraintendimenti potenzialmente infinita.
In realtà c’è molto di piú. Intanto, bisogna considerare che “Útis” (“nessuno”) e “Odussèys” (“Ulisse”) sono (specie pronunciati nell’ambito di una frase) quasi la stessa parola: insomma, in un romanzo dei nostri giorni non si potrebbe escludere che la voce spaventata di Odisseo o l’orecchio stolido di Polifemo abbiano creato involontariamente l’equivoco provvidenziale. Ad ogni modo, non si può liquidare il confronto fra il mostro monocolo (e dunque privo di prospettiva) ed il piccolo eroe acheo come fosse una semplice trouvaille da novella delle beffe.
Dico “piccolo” di Odisseo non solo perché di fronte al gigante chiunque lo sarebbe stato, ma anche perché è una delle etimologie possibili per il suo nome: ‘Odisseo’, ‘il piccolo di statura’.
Un’altra etimologia proposta, forse piú plausibile e certo piú affascinante, è “l’Odiato”: in effetti, l’astuzia di Odisseo lo rendeva temuto ed odiato presso i nemici; e l’odio che parte degli dèi nutriva per lui è la causa delle sue peregrinazioni per il mare: e proprio a casa di Polifemo, figlio del dio del mare, accade che cambî il suo nome in “Nessuno”.
Ed in un certo senso Odisseo è ancora “Nessuno”: non ha gustato l’amore della figlia del sole Circe, non ha scambiato parola col brumoso regno dei morti, non ha spinto la sua prua nello stretto passaggio di Scilla e Cariddi, non ha ascoltato il canto terribile delle sirene, non si è ancora astenuto dalle carni proibite dei buoi di Iperione; carni che invece i suoi compagni mangeranno, e questo segnerà la fine anche degli ultimi che gli erano rimasti.
Insomma, a questo punto della storia Odisseo non ha ancora portato a termine il suo viaggio di formazione: anzi, si può dire che questo sia appena iniziato. Dopo i dieci anni della Guerra di Troia – che si è conclusa grazie al celebre inganno del cavallo di legno ideato dallo stesso Odisseo –, l’eroe intraprende col suo esercito il viaggio di ritorno verso la sua isola. Quella narrata nel poema “Odissea” è solo una delle molte storie di ritorni a casa che costituivano un vero e proprio ciclo all’interno di quello piú ampio della Guerra di Troia.
Ma certamente il ritorno di Odisseo è il piú lungo e favoloso fra tutti quelli che hanno composto il ciclo originario: per dieci anni l’odio degli dèi spinge l’astuto uomo da un lato all’altro del Mediterraneo, gettandolo incontro a prove terribili e tenendolo implacabilmente lontano dalle sospirate sponde della sua isola di Itaca.
Quello con i ciclopi divoratori d’uomini è uno dei primi incontri; seguono: la maga Circe che trasforma in bestie i compagni di Odisseo, i compagni e i parenti defunti che al richiamo di un sacrificio vengono incontro all’eroe dalla polverosa terra delle ombre, lo Stretto di Messina che in forma di mostri terribili divora le navi che osano sfidarlo, le sirene mezze donna e mezze uccello che col loro canto seducono i marinai per poi trascinarli a un orribile destino, l’isola del Sole dove si pascono le mandrie sacre al dio. Si tratta di un prontuario di prodigi in grado di far impallidire il piú vulcanico fra gli autori di Fantasy (e non s’è detto dell’otre dei venti né della nebbia in grado di mascherare a comando né di molto altro).
E in quasi ognuna di queste avventure perisce qualcuno dei compagni, finché Odisseo non rimane da solo a fronteggiare il suo Destino e gli dèi e i rivolgimenti che in vent’anni di assenza hanno stravolto la sua casa.
Perché Odisseo, protagonista della prima lunga storia di formazione della Letteratura, non può che tornare a casa da solo: dopo i lunghi viaggi, dopo aver errato per cosí tanto, dopo aver conosciuto a fondo i luoghi e gli animi di tanti uomini per il mondo; fino ad ottenere, dallo zero che era e che lui stesso confessa allo stolido cavernicolo, la sua rinnovata identità.