Come il mercato estero accoglie i prodotti italiani? A farla da padrone sono quelli del comparto vini, bevande e aceti.
Si presume che nel 2021 l’esportazione del settore frutterà 488 milioni di euro l’anno. Un dato in crescita, se si pensa ai 200 milioni in meno del 2015.
Si esporterà principalmente in Russia, Polonia, Vietnam, Angola, Messico e Cina (con un guadagno di 128 milioni). Il mercato, ovviamente, negli anni è cambiato, cambia e cambierà.
Carlo Volpi, delle Cantine Volpi di Tortona, durante un focus sull’import/export ha affermato che vent’anni fa il 10 per cento dei prodotti veniva esportato all’estero, il restante era mercato interno. La grande crisi si ebbe agli inizi degli anni Novanta, perché non vi erano (o non si volevano) prodotti specifici da esportare.
“Ciò ha obbligato le aziende a cambiare, a muoverci nel mondo. L’Italia ha un valore aggiunto che è stato prodotto da altri italiani prima di noi. valorizzando i territorio e producendo buoni prodotti”.
“Il Made in Italy – continua Volpi – va coltivato, non è un dato acquisito. Occorre continuare a pensare al territorio, all’arte, alla cultura”.
Esportare vino, quindi, corrisponde al far conoscere un valore aggiunto che diventa internazionale. “I buoni prodotti non si fanno in brutti territori”. Bisogna, perciò, vendere prodotti di qualità e non esportare il Made in Italy solo perché è tale.
Ci sono alcune realtà che esportano ottimi prodotti ma quello che fa la differenza sono le persone, coloro che lavorano in azienda.
La professionalità è un requisito indispensabile: “le scuole devono formare personale con competenze specifiche. In Italia la burocrazia sta sottraendo tempo e soldi alle aziende. Teniamo conto, poi, che gli ambasciatori sono fondamentali all’estero. Italiani che lavorano in altri paesi che fanno da portabandiera”.
Altro punto importante è l’aggiornamento. Le aziende devono aggiornarsi. “E’ inutile continuare ad usare il tappo di sughero. All’estero va il tappo a vite, invece, in Italia è ancora difficile da accettare. Il nostro paese è retrogrado, c’è poca cultura del vino. Un’azienda che vuole esportare prodotti buoni e che vengano riconosciuti dai vari mercati deve viaggiare”.
Sì, viaggiare. Esportando quali vini? Quelli che vanno per la maggiore sono soprattutto, spiega Volpi, quelli biologici. Negli anni Novanta, nel Regno Unito, c’era già stato il boom di vini provenienti da agricoltura biologica. Poi il mercato è cresciuto e molte aziende hanno iniziato a produrre in questo senso.
Il Piemonte ha ancora difficoltà a ‘fare il biologico’ a causa delle condizioni climatiche, mentre si produce maggiormente nel Veneto, in Sicilia e in alcuni distretti della Toscana.
Stefano Ricagno di Cuvage, azienda di 150 ettari di vigne che produce Moscato, Brachetto e Barbera, afferma che è importante, per l’import/export e per i territorio, l’aggregazione.
“Cuvage è un esempio di aggregazione di filiera, nata del 2011, ad Acqui Terme. Siamo uno dei primi esempi di gruppi di esportatori di vino italiano. L’Italia è un paese che si sottovaluta e si stima poco. Da noi una bottiglia di bollicine viene venduta a un euro e mezzo in meno rispetto alla Francia. A Cuvage la produzione di vini con metodo classico la facciamo in modo diverso. Un metodo innovativo che coinvolge il prodotto, il processo di produzione”.
Stefano Daffonchio di Terralba Vini di Tortona, invece, arriva dalla piccola azienda agricola di famiglia, in crescita, con 25 ettari di vigneto.
“L’export per la mia impresa è molto importante. Il nostro mercato consiste soprattutto in vini di alto prezzo, ed è rivolto a enoteche e alta ristorazione. Nel mio caso il passaparola e il viaggio sono fondamentali”.
New York è il mercato più importante per Terralba, perché “gli americani sono appassionati del vivere italiano. Poi il prodotto è importante. Noi continuiamo a fare una enorme confusione con i prodotti, in primo luogo con la DOC, quella che io chiamo la denominazione di origine confusa. Io vendo a prezzi elevati prodotti di nicchia ed esclusivi. Gli italiani non sono esperti di vino, lo sono i giapponesi e gli inglesi, amanti del nostro territorio”.
Il mondo del vino continua così a crescere con la possibilità, secondo i dati sul settore vitivinicolo della Direzione studi e ricerche di Intesa San Paolo, di spostarsi verso vini di qualità elevata.
Il Piemonte vede questo obiettivo sempre più vicino, grazie anche alla buona capacità delle aziende di esprimersi all’estero, anche se “c’è una grande perdita di vigneti – afferma Valerio Scarrone della Coldiretti Alessandria – soprattutto nelle zone più fragili come l’Ovadese e il Casalese. Sempre più territori vengono convertiti in noccioleti. Le aziende devono trovare percorsi comuni su cui lavorare.
I contatti con i clienti esteri si prendono principalmente nelle fiere (Vinitaly in testa) e c’è un buon riscontro”.
In tanti vogliono venire in Italia a visitare le aziende da cui comprano il vino, per conoscere la zona di produzione.
Alcune di queste, quindi, si sono dotate di strutture ricettive, valorizzando prodotto e territorio.
I vini più venduti all’estero sono il Gavi e il Grignolino.
Buoni risultati sta dando anche il Grignolino spumante, prodotto da due realtà piemontesi che hanno recuperato un prodotto già presente agli inizi del Novecento.