Non di rado, mi capita di vedere piani di start up scritti da imprenditori – o purtroppo talora loro consulenti – nei quali tutto sembra confuso.
Genericamente, quei piani si rivolgono a un soggetto finanziatore – nella più parte dei casi, una banca – alla quale si chiede di finanziare una certa somma.
Supponiamo, per semplicità, che quella somma sia – poniamo – 250.000 euro.
Ora, qualsiasi persona di buon senso – anche non esperta di finanza – vi chiederebbe subito: per fare cosa ti serve quella somma?
A quel punto, la maggior parte degli imprenditori inesperti spiega che quei fondi servono (supponiamo si parli di un nuovo ristorante vegano) a sostenere “le spese del primo anno”.
Al che, se l’interlocutore chiede loro di dettagliare tali spese, se ne escono con un’indicazione che prevede le spese per la registrazione dei contratti, gli arredi dei locali, la pubblicità, la costruzione del sito, ma anche la sua gestione, compreso il commercialista, e poi la scorta dei vini per la cantina, ma anche le spese di riscaldamento e i canoni di energia per far funzionare le cucine nuove, che, ovviamente, dovranno essere comperate dopo aver messo a norma i locali, che essendo di terzi saranno in affitto.
Presenta, cioè l’elenco delle spese come se dovesse riempire il carrello al supermercato.
L’interlocutore, a quel punto, si rende conto che il candidato imprenditore ha le idee molto confuse su cosa sia un piano d’investimento.
MA COSA E’ UN INVESTIMENTO?
Un investimento è una fase classica nella vita di un’impresa, che può aversi in diverse fattispecie. La prima, certamente, è quella di start up, cioè di avvio di attività.
Nell’elenco precedente, come hai certamente notato, il candidato imprenditore mette insieme spese a carattere ricorrente (come ad esempio i costi del commercialista) con quelle una tantum, cioè sostenute una sola volta e di durata pluriennale (come a esempio quelle di adeguamento dei locali).
Orbene, le due tipologie di spesa non hanno nulla a che spartire, poichè le prime saranno ripetute, mentre le seconde non saranno ripetute. Di più, le seconde concorreranno a formare l’utile (o la perdita) della tua impresa, ogni anno, ma per più anni.
Tuttavia, il loro esborso finanziario (se sostenute non in leasing) sarà iniziale.
In parole semplici, l’investimento, avendo una utilità ripetuta in più anni, ma non avendone il correlato costo (che si sarà sostenuto una sola volta, all’inizio) dovrà essere trattato in modo diverso.
Come dovrebbe sapere l’imprenditore, l’investimento dovra essere “ammortizzato”, cioè assoggettato a un processo contabile detto di “ammortamento” appunto, che è a tutti gli effetti una finzione scenica.
In poche parole, l’investimento iniziale è un costo, cioè una uscita di denaro, il cui effetto è ripartito nel tempo.
Per cui, se la durata del bene è stimata in quattro anni, per esempio, allora il suo costo verrà ripartito – secondo regole che non è questa la sede per approfondire – nello stesso periodo di tempo.
Se ci pensi, un meccanismo non dissimile da quando guardi il valore di un’auto usata su un giornale di categoria, come a esempio “Quattroruote”.
Quindi, la prima regola per l’imprenditore sarà la seguente.
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