Per festeggiare ancora una volta San Valentino insieme ai lettori (la volta scorsa in anticipo e questa volta in ritardo) ho pensato di pubblicare un’altra cartolina d’epoca (in realtà poi se ne vedranno due), che testimonia e narra un’altra storia d’amore.
La scorsa settimana era un racconto a puntate (illustrato da altrettante cartoline) dai contorni vagamente boccacceschi, che si dipanava tra l’ironico ed il grottesco. Avevamo gustato i risvolti iniziali di una storia piccante – forse solo carnale o magari anche d’amore – tra un prete dalla faccia da schiaffi ed una bella parrocchiana[1] o presunta tale
Per la par condicio – per non far torti a nessuno – questa settimana andiamo a buttare l’occhio all’interno di un convento.
Anche in questo caso l’ambiente, come la volta precedente, pare sia una scenografia da studio fotografico; pare trattarsi della rappresentazione delle mura di un monastero. A noi, però, di questo poco o nulla importa. Ci interessa invece raccontare un pensiero comune a molti, cioè che anche in passato gli ecclesiastici – preti e frati di qualunque ordine e anche suore – non fossero immuni dai desideri e dalle passioni che vedevano (e vedono) protagonisti i secolari. E chi produceva cartoline evidentemente sapeva benissimo tutto ciò e faceva di questo pruriginoso argomento uno dei numerosi cavalli di battaglia.
Quando si tratta di pulsioni ed istinti, non sempre si riesce a restare nella castità promessa e questo vale a cominciare dal più umile fraticello fino ad arrivare alle più alte cariche della Chiesa. (A chi non credesse a quel che scrivo potrei raccontare decine di storie proprio su questo argomento; racconti che paiono inverosimili ma che invece corrispondono a verità… e che qui non posso scrivere).
A parte tutti i pareri più o meno personali, basati su cronache vere e sul sentito dire, soffermiamoci sul contenuto di questa immagine.
Il fraticello, che a giudicare dal colore del pelo… non è più di primo pelo, fissa in maniera intensa la dolce sorella che, per motivi sconosciuti, si è recata a trovarlo… o forse è lui ad essere andato a trovarla. Le vie del Signore sono infinite!
Le alte mura dei conventi – pare evidente – non sono insormontabili e quindi non sono sufficienti per tenere separati i fraticelli dalle monache e questa cartolina ne è la prova.
Se non fosse per l’abito ecclesiastico che la donna indossa si potrebbe ipotizzare che questa sia la povera verginella che si vuole confessare citata in mille varianti dalla canzone Goliardica Chi è che bussa al mio convento? [2]
Dopo la confessione (della verginella o della vedovella o ancora altre tipologie di donne) sappiamo ormai che la canzone, sebbene con diverse varianti più o meno riuscite e di diversi interpreti, cita sempre il cordone del fraticello.
Forse l’istantanea che osserviamo è ferma ancora al momento della confessione della monaca e non è dato sapere se, anche in questo caso, ci sia poi stata la famosa penitenza e la conseguente assoluzione.
Occhi negli occhi, mani nelle mani, i due piccioncini stanno dialogando solo con lo sguardo. Purtroppo non possiamo attingere alla lunga esperienza e alla saggezza dell’amico Antonio Silvani, esperto intenditore di Ordini religiosi e quindi mai sapremo se la monachella sia suora a tutti gli effetti oppure soltanto una novizia. Mai sapremo se sia uscita dal convento delle suore dell’Ordine Monastico delle Arrapantine o da quello delle Piccole Squillarelle oppure ancora da quello delle Camporelline. Per lo stesso motivo mai si potrà sapere se il già attempato frate appartenga alla Congregazione Missionaria dei Propagatori del Seme fecondo. [3]
Gli occhi da pesce lesso della donna la dicono lunga sulla sua disponibilità, quindi è abbastanza chiaro che dopo la confessione di certo si sottoporrà più che volentieri a qualunque tipo di penitenza.
Il frate la guarda sorridendo e già sta pregustando, almeno nel pensiero, le tenere carni della pecorella.
Questo interessante reperto storico reca stampati e ben visibili sul fronte dei numeri (0322/4). Che anche questa immagine faccia parte di una serie di cartoline e che tutte insieme narrino una storia? Per ora non si sa.
A giudicare dalle scritte al verso posso immaginare che la cartolina, che è una vera fotografia, sia stata prodotta in Italia. Purtroppo non è stata scritta per la spedizione. Una cosa è abbastanza probabile: l’epoca della stampa dovrebbe essere compresa fra gli anni 1910 ed il 1920.
Per concludere mi piace associare a questa puntata anche un’altra cartolina sempre con un frate come soggetto (cartolina spedita nel 1907).
È abbastanza chiaro l’intento ironico di chi ha ideato e stampato quest’ultimo soggetto. Il rubicondo religioso è accanto al suo amore – la botte di vino – e sorride verso chi osserva la scena. E aggiungiamo noi che forse stia già pregustando con il pensiero il nettare alcoolico con cui festeggerà San Valentino e aggiungiamo che ognuno è libero di far festa come gli pare.
Per completare la Sacra Triade occorrerebbe pubblicare anche una cartolina con un prelato intento a fumare un sigaro… e questo forse accadrà in un prossimo futuro.
Per ora accontentiamoci di aver parlato di San Valentino, di Bacco e di Venere; di Tabacco forse se ne parlerà in una prossima occasione.
_____________________________________________
[1] Per chi volesse leggere o rinfrescare la memoria: https://mag.corriereal.info/wordpress/2017/02/12/san-valentino-la-festa-degli-innamorati-un-tuffo-nel-passato/
[2] È interessante digitare su Internet il titolo di questo famoso brano Goliardico. Si possono scoprire (e ascoltare) tante varianti del pezzo ormai diventato un classico. Eccone un esempio:
https://www.youtube.com/watch?v=V-XXVpK_IEY
[3] Per redigere questo paragrafo ho attinto a piene mani dall’opera Goliardica inedita In nomine Bacci, Tabacci, Venerisque di Sua Santità Hildebrandus Aracnicus, Pontifex Maximus et Prinx (per volontà del popolo e disgrazia di dio), ovvero di Antonio Silvani. In un giorno non lontano (e se non lo raggiungerò prima), spero di riuscire a condurre in porto il lavoro di Antonio per conto suo.