“Io mi ricordo di te, mi ricordo che abbiamo vinto noi, tu non mi fai nessuna paura.“ Bill
Sette ragazzini diventano amici in una calda estate del 1960, passando le giornate a giocare per le strade di Darry, una piccola cittadina del Mayne in cui vivono. Ad unirli vi è un rapporto speciale, ma anche la voglia di scoprire cosa si nasconda dietro ai brutali omicidi di alcuni loro coetanei, che sembrano essere caduti nella trappola di un assassino crudele capace di attirarli in qualche modo per poi divorarli brutalmente.
Fra le vittime del misterioso colpevole c’è anche il fratellino di uno di loro, Il piccolo Georgie, che con la sua morte spronerà ancora di più il gruppo ad indagare sull’accaduto. Decisi ad andare fino in fondo per risolvere il mistero, che non sembra essere trattato dalle autorità in modo competente, scoprono effettivamente la presenza di una malvagia creatura che da millenni vive nelle fogne della loro città, svegliandosi ogni trent’anni per nutrirsi di esseri umani, sotto agli occhi dei cittadini che fanno finta di non conoscere il fenomeno.
Dovranno impegnarsi duramente nella lotta contro il male per poter sconfiggere il mostro, imparando prima di tutto ad avere il controllo di se stessi e dei loro incubi, per potersi dire finalmente liberi dalla morsa dello spietato antagonista.
It non è il classico film horror basato su scene cruente e facce insaguinate, ma al contrario la storia di un legame profondo e viscerale che unisce sette giovani nel meraviglioso sentimento dell’amicizia, e che li porterà a riflettere in primis su se stessi anche in età adulta, per affrontare, si spera in modo definitivo, tutte quelle paure rimaste intrappolate nell’infanzia, che quindi non permettono loro di vivere completamente la propria maturità.
Una considerazione simile può essere fatta anche sul libro da cui il regista Tommy Lee Wallace ha preso spunto per questa sua miniserie del 1990 divisa in due parti. Infatti il romanzo “It” di Stephen King sembra voler sottolineare come sia importante rielaborare in maniera positiva tutti quei traumi piccoli o grandi che possono aver segnato l’età in cui si è fanciulli, periodo in cui gran parte delle persone dovrebbero godere di una spensieratezza che putroppo in molti casi viene a mancare.
Buona la scelta del cast, Richard Thomas, John Ritter, Annette O’Toole, Dennis Christopher, Harry Anderson,Tim Reid e Richard Masur danno vita a personaggi credibili e dalla personalità ben distinta, interpretando sette individui sulla quarantina che cercano di andare avanti nonostante il passato ambiguo.
Molto bravi anche Jonahthan Brandis, Brandon Crane, Emily Perkins, Adam Faraizl,Seth Green, Marlon Taylor e Ben Heller, nei panni dei protagonisti della vicenda ai tempi delle scuole, dei ragazzini molto diversi fra loro ma uniti da un sincero spirito di lealtà e solidarietà verso alcune problematiche comuni, come lo sfuggire ai bulli della scuola o il decidere cosa fare “da grandi”. Il piccolo Georgie invece ha il volto simpatico e vispo di Tony Dakota, che durante il film apparirà più volte al fratello, spesso reso sgomento dai sensi di colpa per non aver evitato al ragazzino di uscire a giocare da solo.
La cattiveria viene quindi presentata nello svolgersi delle vicende come aspetto intrinseco dell’esistenza umana, in quanto non è solo il mostro ad essere diabolico, ma anche tutti coloro che lo proteggono con la propria indifferenza, rendendosi colpevoli dei suoi delitti quanto lui.
Interessante notare anche come l’essere profondamente malvagi venga collegato al deterioramento fisico, come accade ad Henry Bowers, il bulletto della scuola che da giovane ha il viso fresco e bello di Jarred Blancard, mentre da adulto non solo si ritroverà in uno stato di isolamente sociale, ma avrà anche un aspetto decisamente più sgradevole rispetto ai sette amici, ritroviamo infatti un attempato Michael Cole perfettamente calato nel ruolo, quello di un uomo ormai divorato da livore e mancanza di ragione. Una trasformazione significativa la sua, come a voler mostrare che chi dentro è “marcio” inevitabilmente, con il passare degli anni, verrà anch’esso inglobato dalla sua parte più cupa, e nella propria fisicità porterà quindi i segni di questa interioriorità malata e subdola.
Ottimo Tim Curry nelle vesti di una “cosa” venuta da chissà dove con le sembianze di un pagliaccio dagli occhi felini, simbolo delle variegate paure che spaventano gli esseri umani da anni, un nemico celato dietro alle promesse melliflue di qualche palloncino, che si prepara a trascinare chiunque gli creda in un vortice oscuro.