Ci sono musiche, canzoni, che vanno ascoltate diverse volte per essere apprezzate e, soprattutto, capite. O, per ancora meglio dire, introiettate.
Se c’è di mezzo il mio amico Dado Bargioni, geniale cantautore locale nonché una delle eccellenze cittadine che fa di Alessandria – nonostante tutto – una città di meraviglie, è dovere farlo. Perché il suo ultimo lavoro, scritto e prodotto in team con il collega emiliano Marco Sforza, è al contempo un prodotto accattivante e complesso che solletica il mio animo di musicista per la bellezza degli arrangiamenti e la purezza dei suoni e non manda il cervello in pensione per la sua densità significante.
Il CD s’intitola Suonare Bargioni Sforza e rappresenta l’incontro di due artisti con diversi punti in comune e altrettante, positive, diversità. Mentre di Dado so tutto quel che c’è da sapere, per Marco Sforza devo affidarmi alla Rete. Così scopro che è nato nel 1981 e si autodefinisce “un istrione votato alla musica cantautorale, un cantastorie dallo spiccato senso dello humor e dalla sincera musicalità, pianista virtuoso e chitarrista beffardo. E ancora: insieme al maestro Gildo Montanari, eccelso fisarmonicista romagnolo nell’estate del 2013 forma il “Duo Mezza Pensione” con cui partecipa e vince Folkest 2015, un progetto originale in cui si coniuga folklore popolare e teatro-canzone. Selezionato dal Club Tenco a partecipare alla rassegna Tenco Ascolta 2011 dedicata ai giovani cantautori esordienti. Ha scritto colonne sonore, ha vinto diversi festival e concorsi musicali nazionali e ha all’attivo più di 350 concerti in diverse località della penisola tra cui a Bologna al Roxy Bar e a Roma all’Auditorium della Musica.
Potrebbe anche bastare, ma ci sono ancora note biografiche che non si possono ignorare, ovvero: Sforza è emiliano e dalla sua regione si porta appresso una convivialità semplice, da grande tavolata e tanti commensali. Quando canta un po’ ti gioca con la voce in cerca di melodie, un po’ strizza l’occhio al suo pubblico con guizzi di comico. Cerca la complicità di chi lo ascolta, ma ama l’effetto teatrale, la battuta sagace, il gesto che susciti il riso e la simpatia. Della musica, quando la ascolti con un po’ di attenzione, ti colpisce il suo essere nell’ambiente, parte di una conversazione garbata tra il solista ed il suo pubblico. Lo senti che la voce stabilisce un dialogo, si crea il suo spazio d’ascolto con la gentilezza del testo e le note della musica. Ti colpisce la sua aura nostalgica che cerca la poesia dei grandi cantautori in brani che non strepitano e non gridano, ma hanno la sapienza ispida di una ballata che usa una voce sola per esprimere le idee di un coro.
Un po’ Jannacci, un po’ Vecchioni, Sforza gioca al cantautore d’un tempo, di quelli che gli bastano due arpeggi di chitarra e un tocco di blues per schiuderti un mondo di pensiero. Ti parla dell’oggi con una certa immediatezza, cercando il dettaglio acuminato che è un po’ politico senza farsi militante. Le sue sono canzoni che seminano ironia e disincanto nello stesso tempo coniugando folklore popolare e chanson alla francese con amena e gustosissima spensieratezza.
Se la voce di Marco Sforza può ricordare in sottotraccia quella di Ivano Fossati, Dado Bargioni è lui e non ricorda nessuno. Se alla fine di un percorso clownesco, per il primo può affiorare un sentore minimo di tristezza esistenziale, il secondo esprime ottimismo, serenità e certezza della via diritta (“… e torneremo a casa, la troveremo ovunque sia…). Sono diversi, ma nel profondo l’humus li unisce. Ed è la ricerca del senso della vita, lunga e perigliosa quest in fondo alla quale ci può stare la battuta salace, all’apparenza poco garbata (“Si nasce e poi si muore… Sfiga!”).
Suonare Bargioni Sforza consta di 11 tracce, alcune condivise (Tutto cambia, The Beautiful Stone, Libero), altre “a solo” (Mo’ Better Blues, Eden Teatro, Sulla linea il punto, La poesia, firmate e cantate da Dado; L’una, Mmm Mm Mm, Il mare, di Sforza), e ultima si fa per dire la loro cover della celeberrima Cosa sarà di Ron e Dalla. I due cantano da soli, a volte assieme, e sempre suonano, Dado le chitarre e Marco il Fender Rhodes. E francamente suonano alla grandissima, all’insegna di un minimalismo che lo stato dell’arte del virtuosismo rende maestoso e stuzzicante, al punto che si vorrebbe che i loro “assoli” durassero di più, vedi quello di Mmm Mm Mm.
Il cervello che non va in pensione però ci concede di apprezzare quel senso della vita che si legge da un montaggio niente affatto banale delle canzoni che, percorse linearmente (“da una salita che sembra infinita” al buio senza fiato “dell’Eden Teatro”), ci portano alla provvisoria conclusione che “bisogna guardare meglio” per scoprire “sulla linea, il punto”. E non è forse un caso che a metà percorso incappiamo nella cover, suonata in quel modo là che altro non può essere che una dichiarazione d’amore (tre soli strumenti!), di Cosa sarà, inno generazionale per tanti artisti e inchino dovuto al piccolo grande genio di Bologna.
Un lavoro di grande impatto, di struggente sensibilità e di altissimo cantautorato. Una boccata di ossigeno che in buona parte scaturisce da Alessandria e della quale gli alessandrini dovrebbero sentirsi orgogliosi. Non mancate questo disco e andate a premere quel campanello…