Proviamo ad intenderci: gli italiani sono interessati a capire se ci sarà ancora lavoro, se dal loro lavoro potranno percepire un compenso dignitoso e se sono pronte misure economiche esigibili per chi il lavoro non ce l’ha.
Non solo. Gli italiani, per esempio, pensano a mandare i figli a scuola, a tutelare la loro salute e quella dei loro cari, a spazi condivisi sicuri e con molta meno delinquenza.
Non trovo un solo italiano, tra i tanti che frequento, che mi chieda un impegno sul congresso del PD perché, mi dicono, diamo l’impressione di parlare del PD e non di loro. Ma questo è un altro discorso, e comunque in tanti vogliamo parlare proprio di loro. Allora parto dal fondo, da chi il lavoro non ce l’ha e da chi percepisce un compenso per nulla dignitoso per il lavoro autonomo o dipendente che ha. Sono in tanti, l’Istat mette in fila 1,5 milioni di famiglie che faticano a vivere e che nella realtà, non nei racconti dei convegni, dai diritti sociali sono esclusi.
Sì, perché è sulla nostra capacità di garantire a tutti casa, cibo, scuola, salute, che dovremmo misurarci. Servono dai 7 ai 10 miliardi di euro subito per il reddito di inclusione sociale, una misura necessaria che ribalti l’ordine delle priorità delle politiche nazionali. Subito, significa che dimostriamo davvero di sapere mettere in campo la consapevolezza sulla gravità delle condizioni dei nostri concittadini: si chiamano disuguaglianze e rappresentano una buona ragione per battersi ispirandosi ai principi del welfare solidale ed inclusivo.
Qualcosa di più e con più certezze del pur valido SIA (Sistema per l’Inclusione Attiva) ad oggi timidamente a disposizione.
Questa sarebbe una tra le tante missioni da affidare al governo Gentiloni così da convincere alcune Regioni che il “fai da te” delle proposte di leggi regionali, diversamente denominate, deve necessariamente agganciarsi ad una azione nazionale di sistema.
*Consigliere regionale Partito Democratico