In diverse occasioni ho già descritto cartoline riguardanti i Giardini Pubblici di Alessandria e ho espresso i miei giudizi e commenti in merito.
Ora l’argomento torna ad essere di attualità in concomitanza con l’abbattimento di uno degli storici locali pubblici che proprio nei Giardini della Stazione hanno sede.
Non è il caso di sottolineare quanto siano stati belli e ben frequentati i vialetti di questo polmone verde della Città. L’evidenza dei fatti dimostra, anche senza necessità di troppe parole, il degrado in cui l’intera area giace. Da troppi anni ormai siamo abituati (in realtà non ci si abituerà mai) a vedere la nostra bella città – e non soltanto i suoi bei Giardini – precipitare in un baratro che sembra non debba avere fine.
Lontanissimi gli anni in cui a spasso con mamma e papà si vedevano espressioni di civiltà e di galateo. Ricordo mio padre quando, incontrando persone conosciute, portava la mano al Borsalino nell’atto ossequioso di levarlo per salutare la signora e subito dopo la stretta di mano al di lei marito. Ecco, i Giardini degli anni ’60 erano proprio così. Frequentati solo da persone perbene. Da allora non sono passati secoli ma – sì e no – una cinquantina di anni.
Oggi le scene a cui si può assistere sono di tutt’altra natura, siparietti che vanno dall’ostensione di panni lavati perché asciughino a vari e diversi scambi di merce in cambio di danaro, a bivacchi di gentaglia che ha scambiato le aiuole per prati da picnic o altro. (E nessuno fa nulla per arginare questo fenomeno!!!…)
I miei lettori non pensino a scene bucoliche o ad immagini tipo Colazione sull’erba immortalata dal pittore Manet. Alcune delle espressioni di civiltà, (diverse da quelle poco prima citate) a cui purtroppo – a volte – siamo costretti ad essere sfortunati testimoni, sono tutt’al più una approssimativa pulizia delle vie respiratorie – da parte di qualche frequentatore del luogo – mediante il semplice utilizzo di pollice e indice. Naturalmente senza uso di fazzoletti di stoffa o di carta!… Chiedo scusa per la nota di disgusto generata dalle mie osservazioni sul campo ma questa è semplicemente la precisa fotografia di un luogo… soltanto osservata e non immortalata dal mio consueto obiettivo fotografico.
Corre voce – ma non ne sono tanto sicuro – che l’abbattimento di questo immobile sia stato decretato, in particolare, per il cattivo uso e l’abuso da parte di ospiti poco graditi.
Se così stanno davvero le cose non dobbiamo stupirci che si vada di male in peggio! Trovo però così ridicolo che per ovviare ad un problema (grandissimo e di portata non soltanto locale) si decida di abbattere un edificio, sia pur brutto ed inutilizzato e sia pur di discutibile gusto estetico.
Non mi risulta che fosse una costruzione pericolante e quindi non si può di certo gioire se i presupposti all’abbattimento siano stati quelli che ho poco sopra descritto. Penso inoltre che un edificio brutto (se brutto viene ora dichiarato) non avrebbe dovuto avere neppure i permessi di edificazione o di trasformazione di ciò che in passato al suo posto esisteva.
Di solito lascio che siano le mie cartoline a parlare e ad aggiungere la loro voce alla mia. La fotografia, infatti, è una testimone oculare imparziale e raffigura con esattezza il proprio tempo. Per questo motivo voglio pubblicare alcune immagini che ritraggono aspetti di questo angolo di città che sta a cuore a me come a migliaia di altri alessandrini.
L’abbattimento non fa altro che far pensare al decadimento irreversibile della nostra società, alla mala politica italiana ed europea, al cattivo uso che si fa della democrazia e della finta ospitalità a cui siamo costretti a piegarci. Gli italiani, quelli veri, hanno fatto l’Italia (qualcuno sacrificando la propria giovane vita per la Patria) ed ora politici incapaci e senza scrupoli (e tanti corrotti e ladri) la stanno svendendo per loro ingordigia, inettitudine, stupidità. E le Amministrazioni locali cercano di tamponare, a volte anche in modo maldestro, queste carenze nazionali ed europee.
La cartolina che oggi propongo, stampata dalle Edizioni Colombo di Alessandria, è stata prodotta durante gli anni ’10 (dopo il 1913 , data la presenza del tram) ed è stata spedita nel 1918. Sulla facciata del piccolo, primitivo, chiosco campeggia l’insegna Bar Perelli e sul tetto spicca un altro cartello con la scritta Bar Popolare. Inutile sottolineare la bellezza ed il gusto di questa deliziosa costruzione. Parla da sola.
È interessante osservare la gente dell’epoca intabarrata in pesanti indumenti invernali ed i mezzi di trasporto presenti nella scena; avvincente l’atmosfera che vi regna, tipica della tranquilla cittadina di provincia. In primo piano una vettura tramviaria proveniente dal sobborgo Orti sta per fare il suo ingresso nel Piazzale della Stazione. Poco lontano due cavalli imbragati alle stanghe delle rispettive carrozze stanno consumando placidamente la razione di biada dal classico sacchetto appeso al muso. Un carretto a mano è parzialmente nascosto dal passaggio di un ciclista.
Dopo molti anni il piccolo Bar Popolare del signor Perelli ha lasciato spazio al più esteso Bar Porcelli[1], di cui ci siamo già occupati in passato in questa Rubrica, prima di trasformarsi ancora nel mastodontico e mal frequentato Piccadilly.
Ora e forse per pochi giorni ancora vedremo eretti i miseri resti di ciò che rimane di quello che è stato un angolo di paradiso. Paradossalmente questa è la fotografia esatta non soltanto della realtà fisica locale ma anche dell’evoluzione e del cambiamento dei tempi…
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[1] Per chi avesse voglia di fare un ripasso…
https://mag.corriereal.info/wordpress/?s=giardini+frisina