E’ ‘un mondo’, quello del lavoro somministrato, o interinale. Soltanto nella nostra provincia sono almeno 9 mila i lavoratori che vengono selezionati e assunti tramite agenzie private (ce ne sono diverse, ad Alessandria), e impiegati soprattutto nel comparto industriale (“per lo più come operai specializzati”) e commerciale. Dopo il ‘boom’ eclatante di lettori, e conseguente dibattito sui social e non solo, del nostro approfondimento/intervista con un lavoratore alessandrino che lavora in Amazon nel piacentino, appunto come ‘interinale’, ci è parso interessante saperne di più su questi lavoratori che non possono neanche più definirsi ‘atipici’, ma anzi (lo si apprezzi o meno) assolutamente ‘tipici’ di questi anni, e probabilmente del prossimo futuro.
“Noi in Cgil le chiamiamo nuove identità del lavoro – ci spiega Silvia Robutti, della Camera del Lavoro di Alessandria – e il Nidil, pur non essendo ancora una categoria (come i metalmeccanici o il pubblico impiego, per intenderci, ndr), è certamente un progetto e un servizio a cui dedichiamo forze e risorse fin dalla fine degli anni Novanta, dopo l’approvazione del cosiddetto ‘pacchetto Treu’, che appunto introdusse, e cerco di regolamentare, il percorso di questi lavoratori.
Il Nidil, nel palazzo della Cgil di via Cavour, è al pianterreno, entrando sulla destra, e qui Silvia Robutti e altre colleghe ricevono quotidianamente lavoratori e lavoratrici, a cui vengono proposti lavori ‘a tempo’ di tipo ‘sommininistrato’, e che naturalmente cercano di scoprire quali siano i propri diritti, e se siano o meno uguali o ridotti rispetto a quelli degli altri lavoratori.
“Qui – spiega Silvia Robutti – sta uno dei primi ‘scogli’ della nostra attività: perché, nonostante esista tra le agenzie ‘interinali’ dell’alessandrino e il sindacato un rapporto di forte collaborazione, mediamente ottimo, spesso i lavoratori sono poco informati, partono da presupposti sbagliati, e sono magari convinti di doversi avviare, per ‘bisogno di lavorare’, verso forme contrattuali in qualche modo ‘minori’, sul piano dei diritti. Non è così naturalmente, non può e non deve esserlo per legge: il lavoratore ‘somministrato’ ha gli stessi doveri, e anche le stesse identiche tutele, dei suoi colleghi assunti direttamente dall’azienda, che siano a tempo indeterminato o determinato”.
Ma la prima grande differenza, appunto, è che il lavoratore è assunto (e retribuito, e ‘gestito’ in toto, dalla busta paga alla eventuale malattia, alla formazione professionale) dall’agenzia interinale, e non dal suo ‘utilizzatore finale’, ossia l’impresa. “Un altro mito da sfatare – sottolinea Robutti – è che il lavoratore interinale all’azienda costi meno: anzi, il suo costo lordo è identico rispetto al dipendente diretto, con la maggiorazione della ‘commissione d’agenzia’, che varia in genere dal 5 al 10%. E, in caso di inadempienza dell’agenzia stessa (esistono casi anche recenti, e anche nell’alessandrino) gli ‘interinali’ possono rivalersi direttamente sull’utilizzatore finale, anche se naturalmente il percorso non è mai agevole”.
Perché mai, allora, le aziende ricorrono, sempre più spesso, a lavoratori ‘somministrati’? “Perché la loro gestione è decisamente più agevole, proprio perché esterna: e sono l’ideale per affrontare situazioni di ‘picco’ di attività stagionali, senza limiti di rinnovo, e senza che scatti mai obbligo di assunzione definitiva”.
Il jobs act, poi, ha ulteriormente ‘semplificato la vita’ alle aziende: “se prima era possibile ricorrere ai lavoratori esterni soltanto in determinate tipologie di casi, che andavano dichiarati, oggi non è più così. Rimane solo un vincolo quantitativo: un’azienda non può avere, nella sua forza lavoro, più del 20% di lavoratori somministrati”. Anche qui, in realtà, esistono soluzioni ‘ad hoc’, e particolari deroghe, da definire con i sindacati. “Ma il problema vero è un altro, che può sembrare un po’ più tecnico, ma è di forte sostanza: se in aziende che utilizzano solo dipendenti ‘diretti’ i sindacati possono misurare molto meglio i ‘carichi di lavoro’, e nel caso opporsi o contrattare più assunzioni, con gli interinali, per la loro natura flessibile e per il fatto che variano costantemente, questo tipo di controllo diventa molto più complicato”.
Si faccia poi attenzione: anche il mondo del lavoro ‘somministrato’ non è tutto uguale, ed esistono casistiche molto varie, come segnalato anche dal lavoratore Amazon intervistato la settimana scorsa: “Amazon in effetti – sottolinea Silvia Robutti – è realtà che conosciamo bene, come Cgil, anche se non è al momento presente con una sua struttura a casa nostra. E per quanto ci risulta si tratta di un’azienda che rispetta pienamente le regole, il che in altre realtà, magari più piccole, non sempre è scontato. In Amazon comunque la Cgil è presente, internamente, insieme a Cisl e a Ugl”.
Non entra, la sindacalista del Nidil Cgil, nel merito delle ‘sfumate’ opportunità alessandrine di ospitare magazzini Amazon (che dopo Castel San Giovanni pare aprirà un’altra importante struttura nel vercellese): “Non so perché l’azienda abbia preferito Vercelli ad Alessandria, e se e cosa abbia chiesto in cambio, in termini di servizi e infrastrutture: certamente come Cgil non siamo ‘chiusi’ di fronte a tutte le nuove opportunità significative, che possano creare occupazione vera, stabile, regolare. Ci colpisce semmai talora, ma questo è discorso generale e non mi riferisco a nessuna realtà specifica, quando la scelta del ricorso al precariato e al lavoro ‘somministrato’ diventa strutturale, sistemica. Perché abbiamo l’impressione che spesso non sia davvero utile neppure all’azienda: e in ogni caso non lo è certamente per i lavoratori, che non hanno la possibilità di programmare con serenità il loro futuro”
Proviamo l’affondo finale: è vero che i lavoratori ‘somministrati’ raramentesono iscritti ad un sindacato? E risulta che si ammalino molto meno dei dipendenti a tempo indeterminato? Silvia Robutti riflette un attimo: “Purtroppo è vero che spesso chi è precario tende a non iscriversi ad un sindacato, anche se spesso queste persone vengono a chiederci aiuto o consigli, e la nostra porta è sempre non solo aperta, ma spalancata. La questione malattia è altrettanto chiara: un dipendente assunto a tempo indeterminato se ha l’influenza, la febbre o altre forme malessere può mettersi in mutua, in maniera sacrosanta. Anche il lavoratore ‘somministrato’ ha diritto di ammalarsi, ovviamente, ma spesso ‘stringe i denti’, perché sa bene che il suo status di lavoratore precario lo espone a rischi maggiori. Gli stessi ‘utilizzatori finali’ del resto, ossia le aziende, spesso in caso di interinale malato si trovano a dover pagare la ‘commissione’ all’agenzia sia per il lavoratore stesso, che per il sostituto. E ovviamente non gradiscono”.
Ettore Grassano