Bilanci (sull’Impermanenza) [Il Superstite 310]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

 
Di solito i bilanci non li faccio. Però, come prima entrata del Superstite per il 2017, intendo trasgredire. Perché sì, il 2016 è stato un anno triste, pesante (non a caso bisesto per chi ci crede) tanto sul piano personale che collettivo, per non dir planetario. Ho perso amici, parenti, il mio animale totem e un sacco di artisti della scena pop e rock le cui musiche hanno accompagnato lunghi pezzi della vita.

Il mio elenco personale, cupo ma non macabro (perché da qualche parte in me alberga la convinzione, o almeno la speranza, che la morte sia un ciclo di trasformazione) comprende in ordine cronologico: David Bowie, Antonio Silvani, Tecla Dozio, Umberto Eco, Keith Emerson, Davide Di Piazza, Franco Caniggia, Prince, Aldo Visentin, Michael Cimino, Maurizio Credidio, Lorenzo Pellizzari, Marisa Vescovo, Maria Buscaglia, Leo Fara, Ermanno Robotti, Pierino Barbarino, Renato Torti, Dario Fo, Leonard Cohen, Greg Lake, Enrico Patria, George Michael, Carrie Fisher e, per completezza, la di lei madre Debbie Reynolds.

Non stupisca questa intenzionale confusione tra nomi famosi e sconosciuti perché dal mio punto di vista sono tutti frammenti di un immaginario personale, chi più chi meno, così come non sconcertino certi casuali accostamenti, resi tali soltanto dalla cronologia dei decessi.

Non voglio entrare nello specifico per ognuno di loro. Confesso solo che, dopo questa bilanciserie impressionante di botte allo spirito, passa anche la voglia di scrivere e infatti nel 2016 ho prodotto pochissimo, giusto il minimo sindacale per le rubriche che gestisco sul web. Sono uscite diverse cose (a due tengo in modo particolare, Land’s End e Morgan e il buio) che però sono state in gran parte create nel ’15.

Per la serie: giuro che mi riprendo ma per il momento la scrittura mi acchiappa poco e potrei da qui svisare sul tema riversando qualche meritato strale su una situazione di mercato che qualche colpevole, con nome e cognome, ce l’ha ma al momento glisso perché sarebbe comunque fuori tema. Discorso solo rimandato, però.

Ma allora c’è qualcosa di vitale, di vivo, da salvare? Sì, bisogna però prima chiudere gli occhi su questo gran macello di carne umana (e animale) che sta diventando il mondo fra terroristi plagiati dall’ISIS che sembrano uscire dalle pagine di Mr. Mercedes di King e l’improponibile tragedia di Aleppo. E chiudere pure gli occhi sui bastardi che ammazzano per divertimento animali in angoli dimenticabili del meridione che si chiamano Sangineto e Tortora. E, se li chiudo (operazione di certo ipocrita ma solo per il tempo di redigere queste righe), ecco che mi ritrovo con un tesoro inestimabile: gli “amici di palco” che per un vecchio musicista – nel senso professionale lo sono stato eoni orsono, ma ancora la passione non molla – costituiscono uno straordinario patrimonio umano, artistico ed esistenziale.

Fatemeli citare perché nei bilanci, l’abbiamo fatto prima, ci stanno pure gli elenchi: Rudi e Dado Bargioni, Nicola Martinelli e Gigi “Gicchio” Belluardo (ovvero i Definitives), Fabio Tolu con cui faccio “spalla” di tanto in tanto (lo Zake Amplas di Morgan e il buio è lui, sappiatelo!) e i ragazzi, si fa per dire, degli Anni di Piombo, ovvero Tiziano “Tix” Agnisetta, Nico Clerici, Sergio Cina, Ricky Cavagnoli e le due splendide coriste Mara Tinto e Serena Tettoni. Coriste, si fa per dire, ma date certe parentele le ragazze ben si prestano…

Solo elencandoli, ho raddrizzato l’umore, il mio e spero quello di chi legge.
Perché gli “amici di palco”, anche quelli del passato che per vari motivi non vedi più, sono autentici e scaldano il cuore. Averne. Mi piacerebbe citarli tutti, dal ’65 a oggi, ma sarebbe un insopportabile eccesso. E parecchi comunque hanno fatto parte negli ultimi anni delle cronache del Superstite.

Oggi tocca a loro, ai Definitives che mi hanno ospitato in un concerto indimenticabile organizzato per nobili fini (un androne, un giorno ne parliamo…) e agli Anni di Piombo, con cui stiamo preparando uno spettacolo dedicato ai cantautori anni ’70 e ’80 in chiave molto rock – abbiate fede.
Va da sé che tutto ciò sta, si evolve e fermenta, in un grande calderone al quale purtroppo non si può sfuggire. È l‘Impermanenza del Tempo, il grande enigma sul quale bisognerebbe ragionare seriamente di tanto in tanto, almeno per comprendere il misterioso alterarsi della percezione del medesimo da molti anni a questa parte.

Prendete questa frase: Siete vivi? Allora guardatevi attorno, osservate il germoglio che spunta su un ramo, la foglia che cade, gli alberi che stormiscono, il sole che tramonta. Tutto questo fra un attimo sarà un ricordo. Ascoltate il vostro cuore, il ritmo del respiro. Se non possiamo conoscere direttamente la morte, perché si manifesta una sola volta nel corso della vita, questi stati di impermanenza ci possono aiutare a sentirla. Tutto ciò che si manifesta scompare, la percezione stessa del tempo è illusoria, perché l’impermanenza del tempo è assoluta, cambiamento allo stato puro.

Parole dal Libro Tibetano dei Morti (guarda caso…).

Alegher, su, anche se non ho scherzato.