di Giancarlo Patrucco
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Caro Michele,
ho letto con attenzione, come faccio sempre, l’articolo che è apparso su Città il giorno di Natale.
Seguendoti, ho notato che spesso dai voce alle ansie più profonde, che siano tue così come ti sembra siano condivise da quella parte di società a cui senti di appartenere. Spesso sono ansie reali, ben identificabili, e tu le circoscrivi con attenzione. Stavolta, però, sei incappato in una rogna.
“Noi”, infatti, non basta a definire “una comunità che cresce e ha ritrovato la forza di dire al mondo che esiste e lotta”. Questa è una frase da volantino, distribuito al mercato rionale. Purtroppo, per te e per tutti gli altri, “noi” ha bisogno di connotazioni ben più analitiche e ponderose. Dolorose anche, a cominciare da chi ci sta se e da chi viene accolto e riconosciuto se.
Per spiegarmi meglio, almeno su questi due aspetti importanti, perdona se vado indietro negli anni e mi fermo alla crisi di “mani pulite”, intorno al 1992. Come passa il tempo, eh?
Quello fu il momento in cui gli organismi dei partiti della prima repubblica furono percossi e atterriti, come dice meglio di me Manzoni nell’Adelchi, di cui prendo a prestito alcuni versi scritti per altro cimento ma magnificamente adeguati a quello di cui parlo:
Il forte si mesce col vinto nemico,
Col novo signore rimane l’antico;
L’un popolo e l’altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
Si posano insieme sui campi cruenti
D’un volgo disperso che nome non ha.
Ebbene, il volgo del 1992 ha un nome, di cui va fiero. Si chiama “compagno” e sta di casa al P.C.I. Eppure, la prima conseguenza dell’inchiesta di “mani pulite” distrugge in un colpo molte certezze e ruina molte case. Quella del P.C.I. non cade anche se traballa vistosamente, come un fuscello trascinato dal vento. La domanda che preme e che angoscia è questa: se cade la casa, basta cambiare la targhetta sulla porta oppure è necessario cambiare il modo di far politica, rivedere e adeguare i valori ai nuovi tempi? Comunisti e compagni basteranno a definire un “noi” spendibile oppure occorrerà traguardare di là?
La risposta fu semplice, anche se dolorosa. Molto dolorosa, tanto che alcuni rimasero quelli di prima, altri abbandonarono in silenzio, altri ancora diedero vita a nuovi gruppi, nel nome della vecchia fede di sinistra che faceva tremare ancora il cuor. Ma i più attenti, i più avveduti, i più ardimentosi al cimento dissero che “noi” doveva comprendere gli iscritti ma anche i simpatizzanti, chi aveva idee di sinistra, ma anche quelli che professavano idee democratiche, liberali, socialiste. I progressisti, in una parola.
Ci fu anche chi identificò la linea di demarcazione fra questo “campo” e l’altro: prima di tutto l’uguaglianza, poi la trasparenza, la correttezza, la fraternità. Aprirsi, e non chiudersi, fu il loro motto. Ciò si tradusse nella costituzione di Circoli misti, monotematici o meno, ma sempre attenti al territorio. Portò alla costituzione dell’Ulivo e dei suoi comitati. Giunse a postulare l’esigenza di una consultazione popolare attraverso il sistema delle primarie. Cercò il dialogo, magari con qualche esitazione ma senza dimenticare che un grande partito poteva farsi soltanto attraverso grandi sintesi e non sulla base di un qualche direttorio, maggioranza dentro, ma minoranza fuori di lì.
Ecco, caro Michele, questo che ho sintetizzato è stato il percorso per arrivare al nuovo “noi”. C’è ancora, non c’è più, ha perso di vista soltanto le sue forme oppure ha smarrito anche i suoi contenuti?
Mi piacerebbe proseguire questo ragionamento, ma io sono per il “noi” e vorrei sentire l’opinione di altri che senz’altro potranno esprimere altre esigenze. Io, per il momento, ti saluto e mi fermo qui lasciandoti una domanda: chi potrà partecipare alle prossime primarie, tutto il popolo progressista oppure soltanto quelli con la tessera in tasca? Ecco già un quesito che distinguerà.