di Bruno Soro
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Prologo della Grande Ribellione. “«L’Uomo non bada agli interessi di nessun’altra creatura, ma solo ai propri. E fate che tra noi animali ci sia perfetta unione, perfetta comunanza nella lotta. Tutti gli uomini sono nemici. Tutti gli animali sono compagni». (…) L’uomo è l’unico vero nemico che abbiamo. Eliminiamolo dalla scena, e la causa prima della fame e del superlavoro sarà abolita per sempre». (…) «Compagni, ecco un problema da chiarire. Gli animali selvatici, come i topi e le lepri, sono per noi amici o nemici? Mettiamolo ai voti. Pongo questo quesito all’assemblea: i topi sono compagni»?
Epilogo della Grande Ribellione. (…) Dall’esterno le creature volgevano lo sguardo dal maiale all’uomo, e dall’uomo al maiale, e ancora dal maiale all’uomo: ma era già impossibile distinguere l’uno dall’altro”.
George Orwell, La fattoria degli animali, Mondadori Libri, S.p.A., Milano, I edizione Oscar Moderni, 2016.
Il mondo animale, del quale l’Homo sapiens è parte integrante (se non preponderante, quanto meno in termini di potere sugli altri animali), offre una serie impressionante di metafore utilizzate dai commentatori dei fatti economici e sociali. Uno dei tanti significati del detto “Cane non mangia cane”, anche se spesso e volentieri lo azzanna, starebbe a significare, stando a Wikipedia, che “anche i disonesti non vanno l’uno contro l’altro”. Quand’anche si giungesse a pensare che benché al contrario quel detto potrebbe trovare applicazione al mondo delle persone oneste, di certo esso non vale per il mondo dell’economia e della finanza, ma soprattutto per quello della politica.
Le notizie di cronaca di questi giorni ─ ma anche quelle dei giorni passati, basti pensare allo «stai sereno» rivolto da Matteo Renzi all’allora Presidente del Consiglio Enrico Letta ─, ne sono ampia testimonianza. Sappiamo infatti che, a differenza degli altri animali, e per quanto ne pensino i vegani, “l’Uomo mangia l’uomo” (e non soltanto in senso metaforico). Nel mondo della finanza, poi, è sufficiente leggere il bel libro di Joris Luyendijk Nuotare con gli squali (Einaudi, Torino 2016), per convincersi che ciò che sta accadendo alla Mediaset dell’ex-cavaliere, pur essendo i suoi figli la seconda e non la terza generazione (1), quell’azienda, in un contesto europeo, ha da essere considerata “terra di conquista”. Tanto più se si considera che ciò favorirebbe la soluzione di quel conflitto di interessi che il capostipite ha mantenuto in piedi (ancorché per interposta persona) nel Ventennio Berlusconiano.
Tuttavia, non è di cani o di squali che intendevo scrivere, bensì del Vecchio Maggiore (2), il pluripremiato verro di razza Middle White “che godeva di un tale prestigio nella fattoria che tutti erano disposti a perdere un’ora di sonno per ascoltare quel che aveva da dire”, di Palladineve e Napoleone (3), altri “due giovani verri che il signor Jones allevava per la vendita”, il cui compito era quello “di organizzare e indottrinare gli altri”, nonché di quella pletora di animali che, al canto di Bestie d’Inghilterra anelava all’imminente Grande Ribellione. Destino vuole che sia stato preceduto, non nell’idea, che avevo già manifestato a qualcuno degli amici con i quali sono solito corrispondere, quanto piuttosto nella citazione.
Sul Buongiorno di venerdì 16 dicembre, infatti, Massimo Gramellini scrive: “Come nella «Fattoria degli animali» di Orwell, anche in quella di Grillo il mantra dell’uguaglianza è stato aggiornato dopo i primi strusci con il potere”. Da qualche giorno avevo iniziato a fantasticare sulla possibilità che quella metafora potesse descrivere la realtà di quel Movimento di «improvvisati», al seguito di un comico «invasato» (chissà mai perché, invece di parlare urla sempre), quando la cronaca sembra aver superato la mia fantasia.
Così ho desistito, optando in favore di quell’altra metafora che evoca il dramma che sta vivendo in questi giorni un ex-Presidente del Consiglio il quale, avendo sbagliato ed essendo intenzionato a perseverare nell’errore, si fa beffe del pensiero di Karl Popper (1902-1994), il grande epistemologo, per il quale l’avanzamento della conoscenza avverrebbe con il riconoscimento dei propri sbagli.(4)
Mi chiedo: ma che libri ha mai letto fino ad ora Matteo Renzi? Forse solo L’arte della guerra di Sun Tzu? Corre voce, infatti, che egli, forte di un plebiscito sulla sua persona (il fatidico 41%), accarezzi l’idea di prendersi una rivincita, presentandosi da solo e “vincere” in libere elezioni, quando l’esito del referendum su di lui e sul suo Governo ha ampiamente dimostrato che quell’azzardo gli consentirebbe forse unicamente di “partecipare”. (5)
Inoltre, essendo tuttora il Segretario del suo partito, il dilemma di Matteo Renzi si potrebbe ricondurre alla necessità di chiarire a sé stesso e al Partito Democratico dove intendano realmente andare. Dilemma che nella sostanza equivale a chiedersi quali interessi intendano tutelare, se quelli di coloro che subiscono le enormi disuguaglianze esistenti nel paese o quelli di coloro che le hanno provocate.
Più che l’amletico dilemma shakespeariano, quello di Matteo Renzi e del PD ci richiama alla mente un altro capolavoro della letteratura: Alice nel paese delle meraviglie. Scritto da quel matematico e logico con la passione del non sense, Lewis Carrol ci diletta con il dialogo tra Alice, che intendeva uscire dal giardino nel quale si era perduta, ed il Gatto:
“ – Micino Paraguay (gli si rivolse Alice timidamente) mi potrebbe dire, per favore, che strada devo prendere per uscire di qui?
– Dipende in buona parte da dove lei vuole andare, rispose il Gatto.
– Qua o là, non ha grande importanza per me….
– E allora non ha importanza per lei prendere una strada o l’altra.
– … purché arrivi in qualche posto – soggiunse Alice a modo di spiegazione.
– Oh, in quanto a questo, può essere sicura di riuscire: non ha che da cominciare.”
Surreale? Forse basterebbe che si ponessero le domande giuste.
(1) Qualche tempo fa, nell’ambiente del «capitalismo familiare» circolava la voce secondo la quale sembrava esistere una legge per cui “la prima generazione, quella del capostipite accumula, la seconda gestisce e la terza generazione dissipa”.
(2) Per chi non lo rammentasse, nella Fattoria degli animali di George Orwell il Vecchio Maggiore, è un suino appartenente ad una razza “piuttosto pregiata”.
(3) Nella metafora orwelliana “i maiali, ritenuti per comune consenso gli animali più intelligenti”, giocano un ruolo preminente rispetto a quello degli altri animali, come si evince dall’epilogo della Grande Ribellione citato nel’epigramma.
(4) “E’ la scoperta ed eliminazione dei nostri errori – scrive Popper in Il gioco della scienza, Armando Editore, Roma, 1997, p. 51 – che costituisce da sola quell’esperienza “positiva” che otteniamo dalla realtà”.
(5) Presuntuosamente, mi sentirei allora di consigliargli la lettura del bel libro di Antonello La Vergata, Guerra e darwinismo sociale, edito da Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005, nel quale l’autore smonta la credenza antiscientifica di chi “vede nella selezione un meccanismo che elimina i meno adatti piuttosto che un meccanismo che accumula e favorisce i più adatti” (p. 20). In altri termini, l’idea che l’evoluzione sociale segue una regola esattamente contraria a quella divisiva che ha contraddistinto l’azione politica di Matteo Renzi dal momento della sua ascesa.