Una decina di anni fa, stavo facendo da circa sei mesi consulenza per una società di stato, che oggi si chiama Invitalia, a Roma. Venni convocato nell’ufficio dell’Amministratore Delegato, al sesto piano, il ventitre dicembre, alle tre del pomeriggio.
Il problema del quale ero stato incaricato era grave: impiegare fondi nazionali e comunitari a vantaggio delle piccole e medie imprese, mediante lo strumento della garanzia.
Da quasi un decennio, quelle somme erano state praticamente inutilizzate e, se non fossero state impiegate entro dodici mesi, sarebbero andate perdute, cioè le si sarebbe dovute restituire, senza impiegarle.
Dieci anni di soldi pubblici fermi su conti bancari, con le imprese private bisognose di credito.
Una follia tipicamente italiana.
Considerando che parlavamo di diverse decine di milioni di euro di contributi pubblici (oltre sessanta, se la memoria non mi inganna) fermi sul conto di banche, e che la garanzia pubblica poteva attivare, per un meccanismo tecnico detto di “moltiplicatore”, fino a un massimo di venti volte tanto in termini di sostegno a progetti delle imprese, anche di start up, il conto è presto fatto: una montagna di denaro che avrebbe potuto riattivare, erogando in un anno centinaia di milioni di euro di finanziamenti, l’economia di molte realtà italiane.
Venni fatto accomodare dall’assistente al tavolo di riunione.
“Lei ha tre minuti per presentarmi le sue conclusioni.” – esordì l’Amministratore Delegato.
Sapevo che non scherzava.
Guardai i diversi volumi di relazione che avevo prodotto sul tavolo, li spostai sorridendo da parte e, presa una matita e un foglio, cominciai a fare uno schema.
“Dall’analisi che ho fatto in questi mesi, la mia opinione è che, per spendere tutti quei soldi nel solo anno restante, considerati i vincoli che abbiamo, e al contempo le opportunità che ho valutato, non ci sia che una soluzione: creare una start up dedicata.”
Cominciai a delineare i contorni dell’idea di start up, indicando rischi e opportunità.
Quando conclusi, il mio interlocutore restò fermo ad osservare il foglio.
“Lei se la sente di fare il Presidente della società che propone come soluzione?”
Significava dimostrare, assumendomene la diretta responsabilità, che la mia idea di impiegare in un anno quanto non si era speso in dieci era fattibile.
“Sì.” – risposi, dopo un istante di riflessione.
“Prepari le carte per convocare una assemblea societaria.” – disse l’ingegnere, rivolgendosi alla sua assistente.
Uscendo dalla sala di riunioni con l’assistente, osservai distrattamente l’orologio.
Una start up era nata in meno di tre minuti.
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