I Superstiti – ci stanno avvelenando [Il Superstite 305]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

 
«Il mondo si era diviso così, i trapassati e superstiti. E i superstiti non è come dire cittadini, persone, abitanti. I superstiti sanno sempre che la morte li ha visti in faccia, sa dove abiti o ti nascondi. E se ti ha risparmiato – fino a quel momento – le sei comunque debitore.»

Parole intense e da meditare, scaturite dalla penna di Elvira Seminara, e provenienti da un libro del 2013 edito da Nottetempo e intitolato La penultima fine del mondo. Un romanzo breve, formidabile a mio parere, in cui la metafora dell’apocalisse è usata per raccontare la miseria della vita in un microcosmo circondato dal mare – una verosimile isola delle Eolie – mentre il mondo scivola quasi inconsapevole verso una notte perenne. La fine, non metaforica, durante la quale coloro che per due terzi della trama si sono tolti la vita lanciandosi nel vuoto con un vago sorriso sul volto in una sorta di dilagante epidemia mentale ritornano per innestare il vero conto alla rovescia. Una bella prova d’autrice che colpisce per l’antinconformismo stilistico (non c’è un dialogo nelle oltre 150 fitte pagine) e l’intuizione visionaria che non funziona soltanto come spot per il metagenere apocalittico.

Funziona anche per noi, qui. Quando si transita, come faccio io assieme ad altre velenomigliaia di persone, di fianco ad un territorio fino a un mese prima “tranquillo” (per capirci) e di colpo viene transennato per produrre una strada in mezzo ai campi percorribile da decine di camion che trasportano “cose” di cui nulla si sa e tutto si può intuire. Quando le righe di segnalazione sull’asfalto da un giorno all’altro divengono gialle da bianche. Quando qualcuno, di notte come un bandito, usa i panettoni di cemento armato che costeggiano la zona per scriverci sopra CI STANNO AVVELENANDO ed è vero.

La zona è quella famigerata delle cave Clara e Buona, messe a disposizione per lo smarino del terzo valico, dove si sta dell’amianto persino previsto dalla legge, dopo una che una cava nel tortonese è stata giudicata inidonea perché situata in zona esondabile. C’è da ridere – amaramente – perché Clara e Buona, nomi d’impotenza, sono situate di fianco alla Bormida. Sì, quel fiume che nei giorni ha esondato spargendo amianto in ogni dove. Giusto per sottolineare che CI STANNO AVVELENANDO corrisponde a verità.

Non mi addentro nella disputa politica. Mi occupo d’altro, è noto. So che mentre scrivo, vige un’ordinanza comunale che ha bloccato i conferimenti. Spero che quest’ordinanza diventi perenne come spero in cuor mio, da scrittore di materie fantastiche, che l’ira dei demoni fermi per sempre ogni valico tra Genova, Tortona e la Val di Susa, convinto che il progresso non passa da lì mentre ci passa l’impalpabile e volatile morte per amianto.

Mi addentro invece in un’altra equazione, il rapporto – stretto secondo me – tra l’inverosimile numero di morti premature in Alessandria (e dintorni) nel 2016 e il malambiente che ci circonda. La mal’aria, se posso citare l’amico Eraldo Baldini.

Ho perso molti amici quest’anno. Potrei citarli in un elenco imbarazzante scoprendo che per i 2/3 l’incidenza tumorale dovuta alla pessima qualità dell’ambiente è qualcosa di più di un sospetto. Poi, lo so, già le leggo le contestazioni: non esistono da nessuna parte le zone incontaminate; le cave e le discariche da qualche parte bisogna farle perché per vivere produciamo scorie e rifiuti; i treni ad alta velocità sono il futuro… bla bla bla. Peccato che da anni stiamo aspettando la classe politica – purtroppo da qui bisogna passare – che sia in grado di risolvere – radicalmente – il problema nazionale dell’amianto che uccide 4000 persone all’anno (dati INAIL) e ancora non ha raggiunto il suo picco previsto per il 2020. Facciamocene una ragione: questa, auspicabile, classe politica non esiste.

E me ne torno alla Penultima fine del mondo. Dove c’è il personaggio di uno scrittore che si trasferisce nella zona dei felici suicidi e annota le sue considerazioni quasi quotidiane sulla moria che presuppone a una eguale epidemia planetaria. A pagina 128 questo leggo, partorito dalle dita dello scrittore in questione:

La morte ha già preso le misure, ti sta cucendo il vestito che tra poco indosserai. Non te ne sei accorto, lo ha fatto mentre dormivi, o prendevi il sole in pineta, o forse stavi pescando, o compravi un rossetto, o innaffiavi le rose.
Oggi morirà qualcuno. No, non qualcuno, muoiono milioni di persone nel mondo ogni giorno. Ma in questo paese morirà qualcuno che hai visto, che hai incontrato al supermercato e in banca, e forse gli hai anche parlato. Ma soprattutto è qualcuno che ancora non lo sa, non ha mai pensato di morire, eppure è in procinto di farlo. Ti chiedi se la prossima vittima sarà quella donna con gli occhiali che le scivolano sul naso e la spesa in mano, o quella che ride al cellulare, quell’uomo cupo al volante e quell’altro che non trova l’accendino, e sbraita, o quel ragazzo che beve una birra, l’altra che guarda un abito in vetrina, l’autista del pullman persuaso che la sua donna lo tradisca, il ragazzo seduto dietro che vorrebbe una donna. E poi quella che vorrebbe un figlio, e il figlio che vorrebbe un amico, e l’amico che non è sicuro di esserlo. A chi toccherà oggi?

Per concludere così:

Quando il boia si annoia, tutto il mondo è in pericolo.

Che dite? Non viene voglia di stampare la pagina, ingrandire i caratteri a lettera 96 e di andare ad attaccare col silicone l’ottenuto volantino accanto a CI STANNO UCCIDENDO? Eh, certo, ci vanno i permessi…

(Concludo queste note senza speranza con una notazione più leggera ironica per quanto anch’essa senza speranza: ho buttato giù questo pezzo in mezz’ora, accompagnato all’esterno da un motore lasciato acceso per tutto il tempo da un demente che annotava sul suo notebook cose di vitale importanza. Per la serie: di che stiamo scrivendo e soprattutto per chi…)