Ho iniziato ad occuparmi di start up nel lontano 1993. In questi vent’anni ho seguito questo tema per il mondo della politica, delle Istituzioni, dei Ministeri, dell’associazionismo di categoria, dell’Università, della professione.
Prima che qualche fenomeno venga a dire che una start up è qualcosa che nasce in un garage e rappresenta un’innovazione tecnologica tale da cambiare il mondo, dirò subito che possiamo lasciar perdere l’inglese, e dire tranquillamente che
una start up non è altro che un’azienda in fase iniziale del suo ciclo di vita.
Quindi, cortesemente, il consulente brillante che vuol parlare di incubatori, business angels, venture capital e innovazione tecnologica si accomodi a trattarne nelle tesi Universitarie di NTBF (New Technology Based Firms), sapendo però che anche io ho laureato diversi giovani sul tema e che mi sono annoiato in sufficiente numero di dotti (e inutili) convegni.
Tuttavia, nel mondo reale, quello fuori dai posti imparruccati e togati, di start up non ne ho viste decine, ma centinaia. E, in quelle centinaia, io di geniali inventori di nuove tecnologie nate in un garage da brillanti inventori, non ne ho visto. Ma manco uno.
Per carità, sarò stato sfortunato. In compenso, però, ho seguito, assistito e fatto finanziare centinaia di nuove aziende, in ogni settore, dal medicale ai servizi di consulenza, dall’immobiliare all’artigianato, dal manifatturiero all’agricoltura, dall’energia rinnovabile alla sicurezza.
Spesse volte ho consigliato la finanza agevolata, in altre bandi pubblici (taluni scritti da me), in quasi tutte il ricorso al debito bancario.
La mia storia è pubblicata qui (Ma tu chi cazzo sei?).
Se oggi scrivo di questo tema è perchè, nei corsi che tengo in giro per l’Italia, sempre più, da varie parti (giornalisti, professionisti, candidati imprenditori), mi è stato chiesto di trattare di questo specifico argomento.
Da oggi, ho deciso di avviare un ciclo di articoli per rispondere a questa esigenza.
Perché non un singolo articolo?
La ragione è che la materia è complessa e non sarebbe professionale pensare, in un singolo articolo, di risolverla in modo sufficientemente esaustivo. Se non lo fosse, non si spiegherebbe perchè, statisticamente (fonte: CERVED, “Rapporto PMI2014”), un enorme numero di aziende (circa il 50%) non supera il terzo anno di vita o, giunte al terzo anno di vita, di fatto non sono più società operative.
Non so se è chiaro: circa la metà delle aziende che nasce, muore entro tre anni.
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