«Seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi»: con questa motivazione nel 1997 l’Accademia di Svezia consegnava il Premio Nobel per la Letteratura a Dario Fo, del quale ricorre oggi un mese esatto dalla morte; Dario Fo è a oggi l’ultimo italiano ad aver vinto tale premio. Il primo fu Giosuè Carducci, nel 1906; motivazione: «Non solo in riconoscimento dei suoi profondi insegnamenti e ricerche critiche, ma su tutto un tributo all’energia creativa, alla purezza dello stile ed alla forza lirica che caratterizza il suo capolavoro di poetica».
Si ricorderà come la motivazione generale del Premio Nobel sia: «Particolarmente distinto nel campo della Letteratura mondiale per le sue opere in una direzione ideale». Viene dunque attribuito non semplicemente al libro piú bello od all’autore piú bravo, ma all’autore di un’opera letteraria di considerevole pregio artistico connotata in chiave idealista. E si tratta non tanto dell’Idealismo filosofico, quanto di una generica idea di utilità sociale del fatto letterario.
Carducci, dal suo canto (oltre a ricoprire per un certo periodo il ruolo di parlamentare), portò sempre lungo la sua opera poetica un filo conduttore legato a una granitica ideologia dello Stato e della Cittadinanza. Suo padre era un rivoluzionario, e lui stesso fu convinto repubblicano per un certo tempo: tanto che non pochi suoi conoscenti si mostrarono delusi quando il Poeta ebbe accettato il prestigioso incarico di Senatore del Regno; ma bisogna dire che Carducci era repubblicano in modo tutto suo.
L’esigente e rigido canone educativo messo a punto dal padre per il piccolo Carducci era stato improntato alla conoscenza della Letteratura Latina e delle grandi opere storiche: questo aveva radicato nel futuro Poeta il senso marmoreo del buon tempo antico e dell’antica purità d’animi e costumi che si sarebbe imbastardita nei secoli digradando verso l’Evo Contemporaneo. La repubblica inseguita dall’ideale carducciano era quella dei Comuni italiani medievali, se non addirittura quella della storia latina postmonarchica.
Tale antica grandezza era indissolubilmente legata – per formazione e per idea – in Carducci alla Lingua latina stessa: alla quale dedicò grande studio, e nella quale scrisse anche alcuni testi poetici.
Si è spesso mossa critica a Carducci – e qualcuno che non abbia troppa voglia di leggere sotto la superficie ancora lo fa – di essere autore troppo cerebrale, e non abbastanza di cuore per esser poeta autentico: come se la Poesia dovesse necessariamente nascere da un’emotività grassa e sentimentalista. Esistono – e questo è vero – alcuni testi di Carducci che appaiono un poco datati: per la tematica deliberatamente erudita o per lo stile apertamente tronfio e pomposo, e comunque per la solenne artificiosità del poetare; si conservino questi testi per interesse di lettura o per contrappunto agli altri, o se si ha poca curiosità o poco tempo li si salti a dirittura: ma si dia un’occhiata a quelli (e sono la gran parte) che meno avvertono la vecchiaia e del passare del tempo hanno solo beneficiato, e si riscoprirà qualcosa di cui sarebbe un peccato privarsi.
Come in altri aspetti, la scuola non aiuta. Le poesie più importanti di Carducci dal punto di vista storico e biografico appartengono quasi tutte alla ristretta categoria di quei testi artificiosi e datati: e non è solo una coincidenza, perché si tratta appunto dei testi piú direttamente legati alla loro epoca; dunque, per studiare accuratamente il Poeta, si scelgono questi testi importanti e non gli si rende un gran servigio: ché la sensazione che rimane è quella (non totalmente erronea ma tristemente parziale) di un professorone borioso che, con buon talento per i giuochi di parole, scriveva versi perfetti e vuoti per vender libri e farsi lodare. Carducci non è questo.
Il Latino di Carducci – e anche l’Italiano di Carducci è spesso Latino, specie nei Ritmi e nelle Odi Barbare – è la Lingua in cui (o di cui) per certo verso gli parlava suo padre: che diceva di antiche grandezze d’idea e spirito e di antiche forme di bellezza e purità. Lo scavo antiquario e l’inesausta ricerca della perfetta solennità nella forma per Carducci sono emozione non meno di altre sensazioni della sua infanzia toscana: e gli parlavano come forse ad altri (e magari anche a lui proprio) parlano la macchia mediterranea attorno a Bolgheri o un suono di campana a sera sui tetti di Castagneto.