Questa mia rubrica settimanale si sta trasformando pian piano in una sorta di diario di famiglia e di autocelebrazione con relative botta e risposta tra amici ed interlocutori vari. Non era questo l’intento ma oramai lasciamoci trasportare dall’onda.
Tanto per incominciare voglio ringraziare la signora (l’amica) Graziella Zaccone Languzzi per il massimo voto attribuitomi con la sua pagella. La ringrazio per il 10 che mi ha assegnato e inoltre mi complimento con lei per aver compreso perfettamente – e meglio di qualcun altro – i miei scritti relativi alla permanenza in America di nonno Pasquale ed il parallelo che se ne può fare facilmente assistendo all’emigrazione selvaggia verso l’Italia, questa inaudita invasione che sta segnando la fine della nostra Nazione.
La signora Silvia ha obiettato allo scritto di Graziella pubblicando uno stralcio del rapporto dell’Ispettorato per l’immigrazione del Congresso degli Stati Uniti d’America nell’ottobre 1912 (che pare trattarsi dell’ennesima “bufala”). [1]
Alla signora Silvia rispondo quanto segue, analizzando punto per punto il Rapporto a cui accenna:
Mio nonno Pasquale era effettivamente molto basso di statura ma non è vero che non amasse l’acqua. Avendolo conosciuto e frequentato almeno per gli ultimi venti anni della sua vita posso affermare che fosse una persona di discreta attenzione verso la pulizia. A maggior ragione doveva esserlo stato durante la sua gioventù. Quindi non puzzava!
Mio nonno in America non si era costruito nessuna baracca di legno e alluminio. Al suo arrivo al porto di New York era atteso da un signore e da lui, con l’automobile, era stato accompagnato in quella che sarebbe stata la sua abitazione per qualche anno. Un alloggio presso il quale soggiornavano diversi altri ragazzi e in cui la bossa – come la chiamavano storpiando la lingua americana – faceva loro da mangiare e si occupava della pulizia delle stanze.
(Dopo qualche tempo, avendo avuto problemi di stomaco, aveva deciso di prendere in affitto un paio di stanze per provvedere da sé alla cucina e a tutto il resto).
Mio nonno non aveva bambini e se all’epoca del suo soggiorno americano ne avesse avuti non li avrebbe certamente “utilizzati per chiedere l’elemosina”.
Mio nonno in America, come ho appena scritto, non aveva avuto figli e in seguito non ne ha fatti molti; al suo rientro in Italia si è sposato e ne ha avuti soltanto due.
Mio nonno non era dedito al furto e ha sempre mantenuto atteggiamenti di massimo rispetto nei confronti degli altri, pretendendo nel contempo il massimo rispetto nei suoi confronti. (Guai però a chi “toccava la sua roba”). [2]
Non so se mio nonno da giovane fosse stato “poco attraente e selvatico” (non lo credo) ma di sicuro, seppure non fosse un Adone, non ha mai stuprato nessuna donna dopo aver teso agguati in strade periferiche; inoltre non ha vissuto di espedienti ma sempre e solamente usando il proprio impegno e la propria fatica.
A questo proposito mi piace raccontare un aneddoto fattomi conoscere da mia mamma, la figlia di nonno Pasquale.
Lui era un uomo tranquillo e pacato e tale è sempre stato, sia da giovane quanto in tarda età. Era tranquillo ma soprattutto era fidato e sapeva farsi voler bene con semplicità.
Un giorno (siamo sempre in America) gli si avvicina un signore facoltoso, forse un impiegato o direttore di banca. Dopo aver chiacchierato un poco il signore in questione chiede al nonno se la domenica successiva avesse avuto piacere di occuparsi di un lavoretto semplice. Il signore doveva andare a giocare a golf e aveva bisogno di un ragazzotto che portasse la sacca con le mazze. Mio nonno era anche curioso e aveva accettato di buon grado l’incarico, soprattutto per capire di cosa si trattasse.
Pare che il signore – per quell’impegno – gli avesse poi dato il corrispettivo di tre giorni di lavoro. In precedenza gli aveva suggerito che, se qualcuno dei suoi amici golfisti gli avesse chiesto se era pagato per fare quel che faceva, avrebbe dovuto rispondere di no, che lo faceva per passione e per diletto. A fine giornata tutti quei signori lo avevano premiato con parecchie mance.
Naturalmente sono al corrente che in America ci fossero anche mafiosi italo-americani. La feccia esiste dovunque e la storia insegna. Lui però ha sempre cercato e ottenuto di starsene in disparte e fuggire le situazioni che esulavano dalla retta via.
A proposito di quel che “si diceva al Nord dei migranti del Sud Italia non molti anni fa…” posso fare un breve cenno ai ricordi di mio padre. Lui non si era recato in America ma aveva solo scalato lo Stivale. Era arrivato ad Alessandria verso la fine degli anni ’40 e aveva da subito amato la città che lo ospita ancora e che col lavoro gli dava da vivere; aveva cercato e trovato il lavoro e aveva fatto di tutto per integrarsi al massimo. Si era fatto moltissimi amici del posto e si era integrato così bene che costoro avevano iniziato a chiamarlo “l’Uomo Elegante”.
“Arriva l’Uomo Elegante! dicevano quando lo incontravano.
A farne le spese è stato invece il sottoscritto.
Mia madre mi portava ai giardini pubblici sempre vestito come un damerino, con abitini perfettamente lavati, stirati e puliti. Non poteva permettersi di farsi criticare per i miei pantaloni sporchi o magari sbrindellati per aver giocato con gli altri bambini. E quindi dovevo stare a guardare gli altri giocare.
Un bambino figlio di piemontesi avrebbe potuto anche sporcarsi e il commento tutt’al più sarebbe stato: “Gram fió, a l’à giugà e u s’è spurcà…”.
Se invece fossi stato io a sporcarmi giocando si sarebbe potuto sentir esclamare: “ A l’è tüt spòrc… pèr fòrsa… a l’è ‘n teron!!!”.
A questo punto, anche per ragioni di spazio, sono costretto a concludere, sperando anche di non aver annoiato e di aver chiarito le idee alla signora Silvia (almeno nei riguardi di mio nonno).
Seppure non tutti i meridionali (o gli italiani in America) fossero stinchi di santo le persone della mia famiglia erano (e sono) così come ho descritto.
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[1] Interessante articolo che la dice lunga su ciò che è vero e su ciò che crediamo sia vero: http://www.tempi.it/saviano-in-tv-spiega-che-una-volta-eravamo-noi-italiani-zingari-america-ma-e-una-bufala#.V-5hajJaZUM
[2] Per spiegare meglio questa affermazione posso raccontare un altro gustoso aneddoto riguardante un fatto capitato nel 1953–’54.
Ecco un sunto tratto dalle parole di mia mamma.
“Carmelina Vitaliano, la padrona della casa e del giardino che stava a monte della casa dei miei nonni, aveva venduto questa sua proprietà a quello che da tutti era conosciuto come “Il Segretario”, essendo stato per una infinità di anni il segretario del comune di Staiti. Il nuovo proprietario, quindi, si accingeva a far costruire un muro al posto della siepe che delimitava la sua proprietà, lungo il sentiero che scendeva verso casa dei miei nonni. Aveva dato incarico ai muratori di attaccarsi allo spigolo di una casetta di pertinenza dell’abitazione dei miei nonni.
Così facendo però non ci sarebbe stato il passaggio per l’acqua piovana. Le acque torrenziali che si sarebbero raccolte durante la pioggia non sarebbero più defluite in maniera naturale, ma avrebbero invaso e rovinato (nel vero senso della parola) i rustici immobili dei nonni. Nonno Pasquale aveva cercato di convincere inutilmente i muratori, i quali erano ostinati a seguire in maniera pedestre i voleri di Giuseppe Barreca, il Segretario. A tal punto così parlò nonno Pasquale: “Cca ‘ndaviti i dassati chistu stritticegliu, i sindi vaji l’acqua e mi jiti i faciti u muru a ppari all’armacèra”. Al successivo diniego degli uomini il nonno, per nulla intimorito, pare avesse detto ai muratori: “Dicitinci a Peppinegliu i veni ccani i parra cu ‘mmia!” Poi ha invitato diverse persone del paese che ne sapevano molto più del Segretario e finalmente l’opera ha potuto concludersi nella maniera più intelligente, che era stata quella suggerita (e voluta) dal nonno.
Traduzione: “Qua dovete lasciare questo piccolo stretto, affinché l’acqua se ne possa andare e dovete andare a fare il muro a congiungersi con il muro a secco” (già esistente come confine tra le due diverse proprietà).
“Dite a Peppinegliu (maniera spregiativa per indicare il signore in quel caso arrogante) di venire qua a parlare con me.”
Non saprei dire se in quell’occasione i due “avessero parlato”, ma ricordo che in seguito, entrambi, quando si incontravano si scambiavano il saluto sempre e con rispetto, senza rancore.