U Giasón [Il Superstite 296]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

 
All’inizio, ancora prima del cinema parrocchiale San Rocco (di cui ho raccontato abbondantemente in questa rubrica, Il Superstite 281 e 282), fu il cinema Dante situato all’inizio (o alla fine) della via omonima, a un metro da piazza Matteotti.
Questo perché il mio rapporto con i cinema di Alessandria seguiva gli spostamenti, neppure graditi ma inevitabili, della mia famiglia.

Quando nacqui nel 1950, abitavamo in via Pontida e credo di avere iniziato a frequentare il Dante ancora in braccio a mia madre. Poi, poco dopo la metà del decennio, ci trasferimmo in corso Virginia Marini e qui iniziò la gloriosa stagione di San Rocco. Non era finita perché nel ’63 traslocammo in Pista, via Stephenson, e qui partì il doppio programma tra il cinema parrocchiale della Pista, l’Aurora, e quello del Dopolavoro Ferroviario che al sabato interrompeva la programmazione per dar spazio a musica e balli dell’era beat.

Tornando ai primordi, ovvero al cinema Dante, ne ho ancora ricordi perché, se da unCinema  Dante Giason foto di Carlo Sterpone lato furono vivide e intense le prime esperienze con il grande schermo, dall’altro non smisi mai sul serio di frequentarlo anche dopo i vari traslochi. Perciò sono in grado di riferire su pochi ma essenziali particolari.
Intanto credo che quelli della mia età e oltre abbiano ben presente di che cosa stiamo parlando. Nessuno in Alessandria diceva: «Andiamo al cinema Dante», bensì «Anduma al Giasón» con ovvio riferimento alla temperatura rigida del locale durante i mesi invernali, quando durante le proiezioni te ne stavi seduto con tanto di cappotto e fiato nebbioso a uscirsene dalle bocche tremanti.

Se da un lato l’indimenticabile Antonio Silvani sottolinea a pag. 169 del suo Disiunari du dialët lisandrén che Giasón è termine che “si riferisce a gelate che interessano interi territori”, dall’altro va da sé che il cinema Dante non godeva di alcun tipo di riscaldamento o, se c’era, se ne stava ai minimi termini.

Ricordo il grande foyer d’ingresso sulle cui pareti troneggiavano grandi manifesti di film di futura programmazione, che non erano mai i “soliti” film. Questo perché il Dante era cinema di “seconda visione” di fascia alta, ovvero spesso recuperava film da poco passati nei cinema di prima (Alessandrino, Moderno, Galleria e Virginia Marini) abbinati a film che non avevano trovato spazio nelle programmazioni di serie A, quasi un calendario da futuro cinema d’essai.

Il costume della “seconda visione” è proseguito sino a pochi anni fa, sino a quando hanno resistito le arene estive e le pellicole di cellulosa, ed è stato anche un buon metodo per poter permettere a persone meno abbienti di vedere titoli andati per la maggiore. In quel foyer, a 5-6 anni, i giganteschi manifesti alle pareti facevano sognare ed emozionare.

I giganti uccidonoRicordo quello de I giganti uccidono dove si vedeva un uomo enorme che abbatteva con una manata i grattacieli della metropoli, una sorta di King Kong in forma umana e borghese. Si trattava di un’illustrazione di pura metafora perché il film era in realtà un apologo un po’ noioso sul capitalismo americano, ma che ne sapevo io di metafore?

Ricordo ancora quello elettrizzante de Il mostro della California e quello non meno esaltante di Tarantula, ed erano soprattutto le dimensioni a contare. I miei, a patto che non fossero vietati, me ne concedevano la visione, anticipando a loro modo il futuro vezzo di mia zia Piera che mi iniziò qualche anno più tardi, dagli 8 ai 12 anni, alla frequentazione pomeridiana e quasi clandestina dei cinema dove si proiettavano film non esattamente adatti a un ragazzino – a 11 anni mi vidi Psyco al Galleria, per rendervi l’idea, ma questa peraltro è storia nota che ho già raccontato parecchie volte.

Tornando al cinema Dante, dopo l’acquisto dei biglietti mio padre comperava sempre un blocchetto di caramelle Charms, destinate per la quasi totalità a deliziare il mio palato.
Poi dentro: locale tutto in legno, dal pavimento alle poltrone, dai rivestimenti alle panchine delle prime file (dove a me piaceva stare ma non piaceva ai miei data la sofferenza dei deretani…). Se ci camminava tanta gente tutta assieme, era tutto un cigolare che per disturbo era equiparabile al passaggio dei treni durante i film all’arena estiva dei Ferrovieri o alla pioggia battente sul tetto in laminato del cinema Splendor.

Dato il suo carattere nazional-popolare causa la politica della seconda visione, il cinema Dante era di solito frequentato da una specie di popolo che non disdegnava di rumoreggiare laddove fosse ritenuto necessario. Soprattutto durante la pubblicità che partiva prima dei “prossimamente”, quest’ultimo il momento per me più magico.

Mi è rimasto particolarmente impresso il passaggio finale di uno spot dell’allora celeberrimo brandy Stock 84 dove un cameriere con la faccia da super-pirla (li cercavano così…) si rivolgeva al tipo che aveva appena fatto la giusta ordinazione con la frase ancora impressa nell’immaginario collettivo: «Il signore sì che se intende!», quando dalle panchine un maschio alessandrino tanto verace quanto pronto alla risposta gli ribatteva, quasi urlando con perfetto tempismo: «Va a cà, marsòn!», provocando nel locale un’incontenibile valanga di risate.

Se è vero che, tornando al nostro ineffabile Silvani, “marsòn” (alla lettera, marcione) sta a indicare “persona con l’organismo che è un ammasso di putredine, con una malattia che non perdona, quindi in linguaggio figurato persona moralmente marcia”, è altrettanto vero che nella sua accezione più “allegra” il termine, urlato a quel modo, fu in grado di provocare la più lunga sequenza di risate che abbia mai personalmente udito all’interno di un cinema. Adesso si potrebbe sentenziare che allora ci si accontentava di poco per ridere a crepapelle. Sicuro, ne convengo, e che belli erano quei tempi, fatemelo dire.

E che bello, ancora, uscire dal Giasòn e sostare a pochi metri dal cinema dal leggendario Valentino, una pasticceria che ancora oggi è lì a testimoniare della bontà della sua produzione. Le meringhe, un cono gigante di panna montata e la spolverata finale del cacao in polvere. Che Alessandria straordinaria, anche se stavamo al freddo al cinema e spesso anche a casa…

 

La foto del vecchio cinema Dante, il  Giasón, è di Carlo Sterpone