La Giornata Nazionale dell’olio extravergine italiano ha mostrato la grande biodiversità delle olive italiane e le falsificazioni che subisce ogni giorno il made in Italy. Ed è stato il giorno del taglio dell’Irpef, dopo Imu e Irap.
Ma non solo, perché è stato il grano l’altro indiscusso protagonista all’appuntamento che si è svolto al Mandela Forum di Firenze e che ha visto la partecipazione di dodicimila agricoltori.
Tra questi una numerosa delegazione alessandrina che ha particolarmente apprezzato le parole del premier Matteo Renzi e del presidente nazionale Roberto Moncalvo quando è stata posta l’attenzione sul dare subito la rintracciabilità in etichetta a pane, pasta e prodotti da forno.
Via l’irpef agricola dal 2017 e un maggiore riconoscimento economico per il grano 100% italiano, ha annunciato il presidente del consiglio Matteo Renzi, intervenendo alla giornata nazionale dell’extravergine italiano organizzata dalla Coldiretti al Mandela Forum.
La cancellazione dell’Irpef agricola dal 2017 è stata prevista dal governo “nel quadro economico del Def”, ha precisato Renzi, che sul grano ha affermato: “Possiamo metterci d’accordo, con l’industria, affinchè il prodotto 100% italiano venga riconosciuto e non venga pagato come vent’anni fa. Su questo prendo un impegno, anche se non sarà facile”.
“Con l’etichettatura di origine obbligatoria per il grano usato per produrre la pasta si cambia direzione anche nella trasparenza dell’informazione ai consumatori in una situazione in cui un pacco di penne e spaghetti su tre contiene prodotto straniero senza che il consumatore lo sappia. – ha affermato il presidente provinciale Roberto Paravidino – L’impegno del premier Renzi ha due obiettivi: riconoscere come Made in Italy la pasta fatta con grano italiano e garantire un prezzo equo del grano agli agricoltori, che non può essere quello come 20 anni fa”.
Il risultato è che oggi il grano duro per la pasta – continua la Coldiretti – viene pagato sotto i 18 centesimi al chilo mentre quello tenero per il pane è sceso addirittura ai 16 centesimi al chilo, su valori al di sotto dei costi di produzione e con un “crack” da 700 milioni di euro per il Granaio Italia.
“Dopo la mobilitazione partita proprio dalla provincia alessandrina nel mese di luglio chiediamo un piano cerealicolo e contratti di filiera che sappiano premiano l’origine nazionale del grano condivisi con determinazione come proposto dal ministro delle politiche agricole Maurizio Martina si tratta – sottolinea Paravidino – di una necessità per contrastare le speculazioni che nell’ultimo anno hanno provocato il crollo del prezzo del grano duro destinato alla pasta che è praticamente dimezzato (-43 per cento) mentre si registra un calo del 19 per cento per quello del grano tenero destinato alla panificazione con i compensi degli agricoltori che sono tornati ai livelli di 30 anni fa”.
In pericolo non ci sono solo la produzione di grano e la vita di oltre trecentomila aziende agricole che lo coltivano ma anche un territorio di 2 milioni di ettari a rischio desertificazione e gli alti livelli qualitativi per i consumatori garantiti dalla produzione Made in Italy.
L’Italia, infatti, è il principale produttore europeo di grano duro, destinato alla pasta con 4,8 milioni di tonnellate su una superficie coltivata, pari a circa 1,3 milioni di ettari ma sono ben 2,3 milioni di tonnellate di grano duro che arrivano dall’estero e di queste oltre la metà per un totale di 1,2 milioni di tonnellate arrivano dal Canada.
Per quanto riguarda Alessandria, prima provincia produttrice di grano tenero nel Nord Italia i dati parlano altrettanto chiaro: vendere 30 chili di grano per ottenere una pagnotta di pane da un chilo.
“Una situazione allarmante arrivata sul tavolo di Governo. – ha concluso Paravidino – I progetti di filiera sono una soluzione, e il Grano Buono Harmony ne è un esempio, ma ci deve essere determinazione da parte delle istituzioni a Bruxelles, grazie quindi al Premier per la responsabilità che si è preso: non solo via l’Irpef ma anche assumersi in prima persona l’impegno per ottenere la corretta rintracciabilità delle produzioni. Poi c’è la burocrazia, alcune risposte sono arrivate dal Testo Unico ma la strada della semplificazione è ancora lunga”.