Silvia era seduta davanti alla scuola, da sola. Si sentiva terribilmente strana quel giorno.
La sua migliore amica le aveva offerto una sigaretta al mattino e lei, che era sempre stata contraria al fumo, aveva accettato senza nemmeno pensarci sopra. Giulia diceva che era troppo bello fumare perché ci si sentiva forti, attraenti e soprattutto donne vissute. Si poteva essere considerata una del gruppo, una forte, senza paure, una che é disposta a fare tutto.
E così, repentinamente, aveva iniziato anche lei e in quel preciso istante si era resa conto di non avere nulla da perdere: sua madre era scappata quando aveva nove anni, il padre era alcolizzato e ora le rimaneva solo Giulia a farle compagnia. Pensava che, in fondo,non stesse facendo nulla di male: due o tre sigarette al giorno l’avrebbero aiutata a colmare quella solitudine che la perseguitava da anni. La scuola non le interessava assolutamente; il suo unico pensiero erano le feste del sabato sera a cui si recava con la sua amica.
Si era accorta che era passata almeno mezz’ora dal suono della campanella ed era quindi ora di tornare a casa. Si alzò lentamente, prese lo zaino e ne tirò fuori un’altra Marlboro insieme a un accendino.
Si avviò verso casa e si accorse che ancora non riusciva a tenere in mano una sigaretta, quindi, cominciò a muoverla compulsivamente tra le mani e finì per bruciarsi: provò un dolore e un bruciore alle dita della mano destra che non aveva eguali. Contrasse il viso, chiuse gli occhi e fece delle smorfie; era talmente bloccata da quella sensazione da non accorgersi del passaggio di una macchina.
E fu così che una Marlboro rossa la uccise, nel vero senso della parola. Si era giocata la vita per un attimo di distrazione e aveva perso.
Qualche giorno dopo, ai funerali, suo padre non c’era, la madre nemmeno. Solo i compagni di classe, i professori e il personale della scuola erano presenti alla funzione.
Giulia pianse tutte le lacrime che aveva e si diede la colpa dell’accaduto. Iniziò addirittura a credere che la sua vita non avesse più senso senza Silvia. Osservò attentamente il suo bracciale dell’amicizia e rimase immobile a causa dell’amarezza.
Lei non credeva in Dio, ma pensò che se la sua amica se n’era andata in Paradiso per una vita migliore, allora lei l’avrebbe raggiunta il più presto possibile.
Gli altri compagni e amici forse non si erano accorti di chi fosse veramente Silvia, per cui non seppero che dire. Tra la folla, però, si levò una voce flebile, forse di un professore, che affermò: “L’abbiamo persa perché non l’abbiamo aiutata abbastanza. In fondo, era una brava ragazza”.