“La trattativa l’hanno portata avanti il mio amministratore delegato e la responsabile finance, perché c’era il rischio che io mi ‘aggrappassi’ al minimo dettaglio come scusa per revocare tutto, tanto sono affezionato all’azienda, e a chi ci lavora. Abbiamo scelto di cedere al gruppo Baglioni, e non ad altri che magari ci avrebbero dato di più, proprio perché i novaresi offrono ampie garanzie di continuità e sviluppo dello stabilimento di Spinetta”. Incontriamo Franco Oberti nella sua splendida casa, in centro ad Alessandria, mentre è intento a sistemare vecchi falconi, carte, documenti. Ma non aspettatevi una chiacchierata improntata all’amarcord: il fondatore di Astra Refrigeranti, dopo aver venduto nelle scorse settimane l’azienda (fra i leader nazionali nel settore della progettazione, produzione, installazione e manutenzione di impianti di refrigerazione industriale), a 83 anni guarda al futuro con la determinazione che lo ha sempre caratterizzato: “sono sempre stato un battitore libero, non mi ci vedo in società con altri: ma qualcosa dovrò fare, altrimenti mi annoio”. Proviamo allora a ripercorrere, insieme al presidente Oberti, le tappe salienti di una vita di lavoro duro, ma anche di successi e di crescita costante: simbolo di quella generazione di imprenditori che, partiti da zero (“proprio in senso letterale, non tanto per dire”) nel dopoguerra, hanno costruito certamente la propria fortuna, ma anche quella di un paese che ci credeva, e che sapeva investire, e spesso anche scommettere ‘al buio’, sul proprio futuro.
Presidente Oberti, sono anni che, di tanto in tanto, dichiarava ‘prima o poi vendo’: si parlava di tedeschi, poi di americani. Invece l’Astra Refrigeranti è finita ai novaresi della Baglioni. Come mai?
Alla fine sono i più simili a noi: non solo perché piemontesi, ma perché conoscono l’importanza del valore aggiunto dei lavoratori. E a me, a noi premeva prima di tutto garantire un futuro professionale ai circa 70 dipendenti dell’azienda, soprattutto di questi tempi. Non voglio sembrare immodesto, ma davvero c’era la fila di potenziali acquirenti, da anni: Astra è un’azienda sana, un marchio forte e riconosciuto a livello mondiale per le sue competenze, e con uno stabilimento all’avanguardia come quello di Spinetta, inaugurato solo qualche anno fa. Un investimento che ho fatto ad ottant’anni compiuti, mettendoci circa 3 milioni e mezzo: qualcuno mi ha dato del matto, del visionario. Eppure era l’unico modo per guardare avanti, e per ottimizzare una serie di costi, e di metodologie di lavoro che, su due stabilimenti in parallelo, non reggevano più.
Ha incassato tanto dalla vendita?
La cifra non gliela dico: comunque molto meno di quel che avrei ottenuto solo pochi anni fa, prima della crisi che ha investito anche il nostro settore, come tutti gli altri. Si figuri che nel 2009 facevamo non solo 23 milioni di euro di fatturato, ma un utile lordo che era superiore a quello di due grandi aziende del nostro territorio messe insieme. I nomi se vuole glieli faccio anche, ma non può scriverli. Da allora un po’ di terreno lo abbiamo perso, pur rimanendo al top del nostro comparto. Questo ha influito ovviamente sul valore di vendita: ma quel che a me preme è il futuro di Astra, e di chi ci lavora. Altrimenti appunto avrei potuto vendere a qualche multinazionale.
Presidente Oberti, lei è un ‘ragazzo’ del 1933, e lavora dall’età di quindici anni: ci racconta qualcosa di quel dopoguerra che ora sembra così lontano, ma anche così mitico?
(sorride seduto dietro la scrivania, e riflette, ndr) Era un’altra Italia, e un’altra Alessandria. La mia storia personale è stata segnata dalla morte prematura di mio padre, quando non avevo neanche ancora compiuto 15 anni, e frequentavo il liceo scientifico. Mio papà si era messo in proprio dopo aver cominciato da operaio, e aveva una piccola officina, era radiatorista. Lui, e un garzone di 18 anni. ‘Continuiamo noi’, dissi a mia madre, e così si fece. I primi tre anni furono i più pesanti: lavoravo e studiavo. Mia madre ed io vendemmo anche il fucile di mio papà, a cui pure ero molto affezionato. Poi, finito il liceo, mi dedicai a tempo pieno all’attività.
E arrivarono i primi grandi clienti?
Piano, piano. Un passo alla volta: prima cominciai a girare per il nord Italia con il mio primo furgoncino, alla ricerca di piccole commesse. Che arrivarono da Genova, e dalla Ferrero di Alba. Poi tentai il ‘colpaccio’, alzando il tiro per ‘agganciare la prima grande fornitura, con la Nuovo Pignone di Firenze: che è ancora oggi un importante cliente di Astra. E si figuri che, per conquistare la loro fiducia, mi feci ‘prestare’ persino un’impiegata….
Prime forme di lavoro in affitto?
Macchè: un trucco, per fare buona impressione. Dopo una prima, piccola fornitura, c’era in ballo un lavoro molto importante, e per verificare se fossi affidabile Nuovo Pignone mandò due suoi dirigenti qui ad Alessandria; all’epoca avevo la sede sullo Spalto, di fianco all’attuale Bar Felice, dove ora c’è un’armeria. E per impressionarli sistemai ad una scrivania una finta segretaria, che recitò benissimo la parte. La prima fornitura importante era conquistata.
Di lì in poi, Astra Refrigeranti divenne nei decenni un marchio sinonimo di qualità, e di personalizzazione del servizio. Oggi la ‘cinesizzazione’ ha stravolto anche il vostro settore?
Non più di tanto, se riesci a mantenerti, come noi abbiamo sempre fatto, nella fascia alta di mercato: impianti importanti (dai 500 mila euro in su, ndr), realizzati ad hoc in base alle esigenze del cliente, su cui poi si fa anche costante manutenzione. I concorrenti, oltre a qualche altro marchio italiano, sono i tedeschi, non i cinesi. Poi certo la crisi è arrivata anche qui: ma è una dinamica internazionale, nessuno purtroppo può restare indenne.
Astra Refrigeranti è una delle aziende della nostra provincia che hanno contribuito e contribuiscono a ‘tenere in piedi’ l’economia alessandrini di questi anni, grazie ad una fortissima vocazione all’export. Oggi, di fronte alle tante ‘turbolenze’ geopolitiche, finanziarie, militari e religiose anche l’export rischia grosso?
C’è export e export. Per aziende come la mia (“mi scusi il lapsus”), che lavorano per grandi marchi in tutto il mondo, diventa fondamentale anche sapersi muovere sul piano geopolitico: andare a realizzare grandi impianti in paesi molto ‘turbolenti’, sia militarmente che finanziariamente, è decisamente sconsigliato. Peraltro cercare di farsi pagare in buona parte in anticipo rimane fondamentale: e poi ovviamente saper sempre offrire il massimo, in termini di qualità e di innovazione, paga sempre.
Ma ad un Franco Oberti ventenne, oggi, che consiglio darebbe?
Credo che il futuro sia sempre nella capacità di innovare: quindi nuove tecnologie, senza dubbio. Ma parlo di soluzioni e nuovi mercati che non conosco, sia chiaro: rimango legato al mio mondo, come inevitabile. E lì, forse, qualche brevetto interessante, avrei ancora potuto svilupparlo: ma per ottenere risultati ci vorrebbero altri 5 o 6 anni almeno, e io ne ho 83….
Significa che farà il pensionato, Presidente?
Mah, questo non penso proprio: non ne sono capace, va a finire che per l’autunno qualcosa mi invento.
Qui alle nostre spalle, nel suo studio, c’è tanta montagna: dalle sculture ispirate al Cervino, alle attrezzature da alpinista. E’ stata una grande passione per lei?
Adoro il Cervino, l’ho scalato fino a 72 anni, e sono guardia alpina onoraria. Era una passione che mi univa a Mike Bongiorno, tra l’altro: da qualche parte ho ancora delle foto che ci ritraggono insieme. Oggi in montagna ci vado, ma da turista.
E la politica, presidente Oberti? Sa che ad Alessandria in primavera si vota, vero?
Come no, la politica l’ho sempre seguita con interesse, da vecchio liberale, e elettore di destra mai pentito. Oggi però vedo una grande confusione, e non invidio il sindaco attuale, e neppure il prossimo.
Ettore Grassano