di Bruno Soro
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“(…) in Inghilterra è tenuto in grande considerazione il carattere, da noi invece l’astuzia. Da quando ho l’età della ragione dico che, se fossimo un po’ più grulli, vivremmo tutti meglio. È ben difficile immaginare un paese veramente civile in cui gran parte delle persone di rilievo sono furbe e in cui chi si fida degli altri è considerato un ingenuo, ossia uno sciocco.”
Paolo Sylos Labini, Un paese a civiltà limitata. Intervista su etica, politica ed economia, Editori Laterza, Bari 2001
Due servizi usciti su La Stampa di martedì 19 luglio, il primo dello storico Giovanni Orsina e il secondo dello scienziato della politica Alberto Mingardi, indagano rispettivamente sull’«irresistibile fascino del controllo», e sull’«Italia dei Cinquestelle nelle loro 514 proposte di legge».
Orsina mette l’accento sull’ambizione del M5S circa il “desiderio che il mondo funzioni esattamente come vorremmo che funzionasse”. La qual cosa – egli scrive – trasmette agli elettori l’illusione che, mediante l’esercizio del controllo della politica, “l’utopia (sarebbe) a portata di mano, sol che la si (volesse) raggiungere”, unitamente all’idea consolatoria “che se non la si raggiunge dev’essere perché qualcuno ce lo impedisce”.
Da qui, “l’insistenza sulla malvagità dei gruppi di potere, e sulla necessità di smascherarli e distruggerli che emerge dalle (loro) proposte di legge”.
Partendo dall’ipotesi che “la priorità (dei Cinquestelle) è riconoscere «alla totalità degli utenti della Rete il ruolo di governo ed indirizzo normalmente attribuito a pochi»”, Mingardi sottolinea invece la particolare attenzione del M5S per le regole, la fobia per i complotti e l’ideologia del welfare-fai-da-te. Tutto ciò nell’intento di evidenziare la volontà di superare le “categorie usurate come destra e sinistra”.
Inoltre, rifacendosi al pensiero politico di Karl Popper, egli evidenzia come quello dei Cinquestelle costituisca un tentativo di leggere la realtà che deriva «dall’erronea teoria che qualunque cosa avvenga nella società – specialmente avvenimenti come la guerra, la disoccupazione, la povertà, le carestie, che la gente di solito detesta – (sia) il risultato di diretti interventi di alcuni individui e gruppi potenti».
Le due parole chiave per comprendere il persistente successo elettorale della «non-associazione» (che) ha un «non-statuto» e che “per sede legale si è scelto un sito web”, sarebbero pertanto «utopia» e «controllo».
La prima consisterebbe nel superamento della democrazia “rappresentativa” con l’avvento della democrazia “diretta”, e la seconda tutte quelle misure di controllo dell’economia attraverso l’istituzione di “Commissioni parlamentari d’inchiesta”, nonché la regolamentazione di aspetti particolari dell’economia mediante: i) l’introduzione di nuove figure professionali; ii) controlli in materia di attività assicurativa o di utilizzo dei suoli; iii) la regolamentazione del gioco d’azzardo (cosa peraltro assai commendevole); iv) il «sostegno della ripresa demografica ed economica» dei comuni minori, depauperati da una «economia di rapina che privilegia la speculazione rispetto alla vita delle persone»; v) la tutela “del «diritto del consumatore a conoscere la durata dei prodotti e dei servizi»”, quale “risposta ad una «obsolescenza programmata», (…) costruita ad arte dai produttori (al fine di) assicurarsi un costante flusso di entrate”.
Trattasi di «dichiarazioni di intenti» dalle quali, a parere del co-fondatore dell’Istituto Bruno Leoni, emergerebbe “una chiara impronta ideologica”, e sulla cui fattibilità è lecito dubitare: è assai difficile, infatti, “ridurre le vessazioni per il contribuente, se cresce il bisogno di risorse dello Stato”.
Molte delle osservazioni mosse da Orsina e di Mingardi colgono nel segno, specie quando quest’ultimo critica la proposta dell’introduzione del cosiddetto “reddito di cittadinanza”: un provvedimento, peraltro già sperimentato in altri paesi con scarsi e discutibili risultati, “sulle cui coperture – scrive Mingardi – è buio pesto”. Tuttavia, quando egli accusa i Pentastellati di ideologismo con la loro proposta di modificare l’articolo 47 della Costituzione, sostituendo “la tutela del risparmio” con “la tutela del risparmiatore dal rischio di crisi bancarie”, paragonando l’abolizione del “rischio delle crisi bancarie” con il “fare una legge che abolisca i terremoti”, lo stesso Mingardi fa dell’ideologia (neo-liberista).
Una cosa, infatti, sono le “crisi finanziarie”, altra cosa sono le “crisi di gestione degli istituti bancari”. Le prime, la cui origine va ascritta ai meccanismi di funzionamento dei mercati finanziari (dall’amplificazione dei “derivati” ai tempi di reazione impliciti negli algoritmi utilizzati dalle «banche d’affari» nelle attività speculative), impattano sulle seconde nella misura in cui le «banche di credito» – dedite alla raccolta del risparmio (tutelato) e al suo reimpiego nel finanziamento di attività produttive -, sono state assimilate (ahimè), dalla normativa sulla liberalizzazione dei mercati finanziari (regolamentati e non), alle «banche d’affari», lo scopo delle quali è la remunerazione del risparmio (non tutelato, quindi a rischio).
Per concludere, se, come scrive Giovanni Orsina, non è sbagliato etichettare i Pentastellati come «antipolitici» sia perché “il M5S si oppone alla politica per com’è stata finora, sia perché nega che la politica abbia una sua propria logica autonoma (…) e che chi la fa debba avere talenti o competenze speciali”, mi auguro solo che, in caso di vittoria elettorale alle future elezioni politiche (cosa tutt’altro che improbabile, dato il combinato disposto delle modifiche costituzionali e dell’Italicum, nomen omen…), affidino quanto meno il Ministero dell’Economia al prof. Mauro Gallegati (sempre che sia ancora in odore di “grillismo”), il quale, nel contesto dell’approssimazione e iper-semplificazione di quanti usano la rete, privi della conoscenza del linguaggio necessario, almeno possiede “talento e competenze speciali”.
“Noi speriamo che ce la caviamo”.