«Grazie alla collaborazione del Ris dell’Arma dei Carabinieri, possiamo affermare con ragionevole certezza che il 16 marzo del 1978 in via Fani c’era anche l’esponente della ‘ndrangheta Antonio Nirta, nato a San Luca, in provincia di Reggio Calabria, l’8 luglio del ’46. Nipote del capo clan suo omonimo, morto a 96 anni nel 2015, di Antonio Nirta parlò per la prima volta il pentito della ‘ndrangheta Saverio Morabito, secondo cui Nirta, detto ‘due nasi’ per la sua confidenza con la doppietta, sarebbe stato confidente del generale dei carabinieri Francesco Delfino e uno degli esecutori materiali del sequestro di Aldo Moro»
Giuseppe Fioroni, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro
Siamo sempre lì: l’Italia è un Paese (mi verrebbe voglia di scriverlo con la “p” minuscola) in cui le guardie e i ladri si conoscono, se possono collaborano, raramente si infastidiscono.
E’ il paese (vada per la minuscola) della giustizia che diventa storia. A cadavere caldo, sembra impossibile dire chi è stato, e perché. Devono passare quarant’anni, almeno. E spesso non bastano.
E’ il paese di Ustica e dei suoi misteri; della strage alla stazione di Bologna (che ha i suoi condannati, ma non li ha tutti); del caso Moro, appunto. E di tanti “suicidati“, che per sbaglio o per spavalderia finiscono in giochi pericolosi, sempre più grandi e maledetti di loro.
Facciamo qualche nome: Michele Landi, tecnico informatico di Guidonia Montecelio, a una trentina di chilometri da Roma, trovato impiccato in casa sua il 4 aprile 2002. Landi era consulente di Umberto Rapetto, allora tenente colonnello delle Fiamme Gialle, e del pubblico ministero di Palermo Lorenzo Matassa.
Entrambi non credono al suicidio. Matassa lo dichiara esplicitamente al quotidiano La Stampa del 7 aprile dello stesso anno: «Penso ai servizi segreti, quelli che hanno cercato di dare un segnale a chi sta lavorando sull’omicidio del professore Marco Biagi». Eppure alla fine il caso è archiviato: Landi si è tolto la vita da solo, e tutti zitti.
Più vicino a noi, potremmo citare David Rossi, capo della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena. Per lui, un volo dalla finestra del suo ufficio. Ne sapeva di cose “strane”, il dottor Rossi. La prima indagine dice “suicidio”; la seconda, riaperta recentemente, non ne è più così sicura. Chissà se giustizia verrà fatta, e in quali tempi.
Servizi deviati, massonerie, mafie e chissà che altro: benvenuti nel “Paese dei Misteri”. Altro che pizza e mandolino…