“Enzo Tortora, una ferita italiana”: alla Casa di Quartiere il docufilm di Ambrogio Crespi

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Sabato 9 luglio, alla Casa di Quartiere in via Verona 116 ad Alessandria, si terrà la proiezione del documentario “Enzo Tortora, una ferita italiana“.

La serata inizierà alle ore 20.00 con un aperitivo offerto dalla Coop, e proseguirà con la proiezione alle ore 21.30. A seguire il dibattito, con intervento telefonico del registra Ambrogio Crespi.

“Dunque, dove eravamo rimasti?” (Enzo Tortora, Portobello, 1987).

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Riprendendo il suo seguitissimo Portobello dopo quattro anni dall’arresto e dopo sette mesi di detenzione perché ritenuto colpevole di traffico di stupefacenti e associazione camorrista; dopo una pesante condanna in primo grado a dieci anni di reclusione fondata unicamente sulle dichiarazioni di una folla di pentiti ansiosi di ricoprire il ruolo di collaboratori; dopo la definitiva e piena assoluzione, Tortora pronunciò quella celebre frase che sarà destinata a rimanere negli annali delle peggiori pagine della giustizia nostrana: “Dunque, dove eravamo rimasti?”.

Eravamo rimasti alle immagini di un Enzo Tortora che ammanettato viene condotto fuori dall’Hotel Plaza alle 4 del mattino di quel fatidico 17 giugno 1983; eravamo rimasti alle grida forcaiole di grandi firme del giornalismo stampato e televisivo italiano; eravamo rimasti alle dichiarazioni di politici e magistrati che, in nome di una presunta giustizia capace di colpire anche i potenti, si appuntavano sul petto tronfio le medaglie per l’arresto di un personaggio pubblico amato ed odiato quale inevitabilmente era Enzo Tortora.

Poi, candidamente, l’ammissione dell’errore, un errore tanto marchiano quanto incredibile: le dichiarazioni dei pentiti erano menzognere e calunniose; il nome sull’agenda del camorrista non era Tortora ma Tortona; il numero di telefono accanto a quel nome era di un signore di Salerno che, recatosi spontaneamente in Procura per testimoniare, non fu ascoltato.

Oggi, a più di trent’anni dal suo arresto e dalla infame passerella mediatica che fu costretto a subire, e a ventotto dalla sua morte, quella domanda, attuale più che mai, è ancora in attesa di una risposta.