Dopo Brexit: cronache ‘a caldo’ dal Parlamento Europeo

Bruxelles Parlamentodi Filippo Barosini*

 

E’ martedì 28 giugno e a Bruxelles si riunisce il Parlamento in sessione plenaria, mai convocata con così poco preavviso, per discutere dell´esito referendario dello scorso venerdì.

La volontà degli inglesi di abbandonare l´Unione Europea ha lasciato un solco indelebile nella storia politica non solo europea, ma mondiale. Sono passati pochi giorni, ma le conseguenze non si sono rivelate pigre nel manifestarsi: immediato crollo della valuta inglese, la sterlina; elevata volatilità dei mercati finanziari (che riflettono con grande sensibilità, per loro stessa natura, le variabili macroeconomiche e politiche della società); declino dell´economia reale. Questi sono soltanto effetti isterici, microfenomeni se confrontati con ciò che potrebbe invece accadere nel medio-lungo periodo. L’Europa ha reagito, come detto, convocando una sessione plenaria immediata.

CameronDurante la seduta l’obiettivo è stato quello di sollecitare la Gran Bretagna a notificare il risultato referendario e ad avviare i negoziati per ufficializzare l’abbandono dell´UE. Il premier Cameron ha fatto capire di non voler procedere e di voler aspettare fine settembre, quando sarà stato scelto il suo sostituto. L´UE invece teme una diluizione dei tempi di negoziazione e pertanto ha presentato una risoluzione “per evitare una incertezza che sarebbe dannosa e per proteggere l’integrità dell´Unione”.

Londra invece punta esplicitamente a perdere tempo, diluendo i tempi della ritirata per capire come risolvere un’equazione impossibile: restare nel mercato interno, amputandolo della libera circolazione dei lavoratori. La risoluzione (non vincolante) proposta dal Parlamento Europeo verte tutta quanta sull´articolo 50 del TUE (Trattato sull´Unione Europea), che disciplina l’uscita volontaria di uno Stato Membro dalla UE. Esso prevede, appunto, che la volontà debba essere esposta formalmente al Consiglio Europeo, per poi procedere immediatamente ai negoziati, “tenendo conto del quadro delle future relazioni tra Stato e UE”.

A Bruxelles, martedì, si respirava l’aria di un momento storico, tra i volti Gran Bretagnapreoccupati della maggior parte degli eurodeputati e i sogghigni compiaciuti di alcuni britannici, che hanno adornato il proprio seggio con tanto di, immancabile, bandierina inglese. Ad aprire i lavori ci ha pensato, ovviamente, il Presidente del PE Schulz il quale ha pubblicamente ringraziato Hill, ex commissario europeo nominato da Cameron (con il quale ha lottato per il Bremain, la permanenza del Regno Unito nell´Unione Europea), che ha ricevuto una commovente standing ovation e che ha, secondo le parole del Presidente del PE, “svolto un eccellente lavoro”.

JunkerSono dunque bastati 10 minuti per rendere ancor più suggestiva e surreale una atmosfera che si prestava perfettamente a questo tipo di effetto. Un altro momento topico è stato quando Juncker ha preso parola; il suo discorso ha insistito sul rispetto scrupoloso nei confronti del volere dei cittadini britannici, i quelli hanno espresso con grande entusiasmo la democrazia diretta. Il Presidente della Commissione Europea ha poi continuato: “sono triste dopo il voto in GB, ma ne trarremo le conseguenze… non chiedo agli inglesi di decidere oggi, ne´ domani o dopodomani, ma comunque nel più breve tempo possibile”.

Teatrale lo scontro che ha avuto con Nigel Farage (leader dell´UKIP), fervido brexiter, cui Juncker ha rivolto parole ironiche e avvelenate: “lei è l’ultima volta che applaude in questa assemblea”…”mi stupisce la sua presenza qui oggi!”. Infine, Juncker ha voluto precisare come l´Inghilterra non possa farsi attendere a suo piacimento: “No notification, no negotiation”.

Non passerà inosservato nemmeno l´intervento di Weber, Presidente del gruppo EPP, il quale ha introdotto il suo discorso con un affascinante “ogni crisi è anche una opportunità´”, e che ha criticato Farage con meno ironia e maggior nettezza, accusandolo di menzognerie e di assurda esitazione a procedere una volta ottenuto ciò per cui si era tanto battuto. Weber si è poi prodigato in una esaltazione, di matrice quasi filosofico-concettuale, del rapporto tra entità sovranazionale ed identità nazionale: “io sono bavarese, parlo il dialetto bavarese, tifo Germania a Euro2016, e sono europeo convinto”.

Citiamo poi, tra gli altri, un rilevante intervento del connazionale Pittella, il quale ha sostenuto che “nessun referendum può spezzare il filo storico e culturale che lega la GB con la UE”.

A fine seduta, si è passati al voto della suddetta risoluzione, che è stata approvata con 395 voti favorevoli, superando i 200 contrari. Tra questi ultimi ai annoverano perlopiù gruppi nazionalisti di estrema destra, sinistra radicale e M5S.

La volontà del Parlamento è stata dunque chiara: alla Gran Bretagna non puòMerkel essere concesso un “menu a la carte” (già aveva importanti deroghe all´interno della UE come l´esclusione dall´unione monetaria e dal Patto Schengen). Medesimo concetto è stato metaforicamente espresso dalla Merkel: “colui che esce da una famiglia non può aspettarsi che tutti i suoi doveri spariscano e che i suoi privilegi vengano mantenuti”.

D’altra parte la GB vuole temporeggiare per evidenti motivi di ripensamento, collegati a reazioni economiche e politiche che forse nemmeno i brexiters si aspettavano; la sensazione è che l´Inghilterra, prima di notificare al Consiglio la volontà di abbandonare la UE, voglia assicurarsi alcuni vantaggi e rapporti di fiducia con la stessa prima di lasciarsi sfilare la corda dalle mani. Una volta infatti presentata al Consiglio la dichiarazione formale, il tempo per poter chiudere le trattative sarà di due anni, al termine dei quali Londra non sarà più effettivamente una città europea. Le vie per il Regno Unito di continuare a collaborare con l´Europa (pur non facendo più parte della UE) portano a 3 modelli: quello norvegese, che prevede l’ingresso nello spazio economico europeo; quello svizzero, che prevede una negoziazione ad hoc di libero scambio; quello turco, che prevede una negoziazione di una unione doganale con la UE.

Paradossale però rimane lo scenario che si presenterebbe se si dovesse veramente aspettare fino al momento del successore di Cameron (27 settembre) prima di poter cominciare i negoziati; in soli pochi giorni gli equilibri macroeconomici e finanziari sono stati scardinati dai postumi della Brexit, e non osiamo immaginare a cosa potrebbero portare 3 mesi di assoluta incertezza. Nella speranza che il fenomeno di forze centrifughe, pseudo-nazionaliste ed euroscettiche, possa trovare fine.

 

 
* Stagista presso il Parlamento Europeo e membro della GFE (Gioventù Federalista Europea)