di Bruno Soro
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“Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono in tanti.” Ettore Petrolini, citato in C. Baldini (a cura di), Aforismi sul denaro, Rubbettino Editore, 2003, p. 31
Che cosa pensate possa fare un generale senza esercito? Se va in guerra può solo perdere. I segnali che provengono dall’esito delle elezioni amministrative sono molti e vanno tutti nella medesima direzione: sperare di poter vincere le elezioni ponendosi in guerra contro tutti, ma soprattutto contro il suo “esercito” è una strategia fallimentare.
Da tempo pensavo a ciò che sto per scrivere e avevo in mente già un titolo che mi sembrava appropriato: “Partito, andato”. Non è solo un gioco di parole. La presenza dei partiti, in un momento storico in cui essi possedevano una certa credibilità, dovuta alla presenza in quelle organizzazioni di “persone perbene”, forgiate da lotte, con chiari riferimenti ideologici, attente alla selezione dei più capaci, riconosciute tali anche al di fuori del loro impegno politico, assicurava, con il favore dell’obbligo di recarsi a votare, una certa stabilità nell’espressione del voto. Che quel modo di intendere l’organizzazione partitica si stesse sgretolando mi è divenuto chiaro molti anni fa con l’esperienza del PSI di Bettino Craxi: via lui, che ha fortemente contribuito alla trasformazione di quel partito in un “comitato d’affari”, dal livello locale fino a quello nazionale, l’organizzazione “partito”, con un processo favorito dalla stagione di “Mani pulite”, ma che ha riguardato un po’ tutti i partiti, si è squagliata come neve al sole.
Resisteva, grazie anche alla “cinghia di trasmissione” del sindacato, istituzione nella quale si è formata una consistente schiera di “dirigenti politici”, specie a livello delle amministrazioni locali e provinciali, il “vecchio PCI”. Le successive trasformazioni di questa organizzazione, a partire dalla “Cosa” di Occhetto, via via fino alla unificazione di ciò che era rimasto dei “vertici” delle Segreterie del PDS e della DC nel nuovo Partito Democratico, passando attraverso l’esperienza dell’Ulivo, hanno favorito lo sfaldamento di ciò che era rimasto del “vecchio PCI”, senza peraltro riuscire nell’intento di costruire nulla di politicamente nuovo. Potrei sbagliarmi, ma l’esito delle elezioni amministrative ha sancito il fallimento del tentativo operato dal Segretario di questo Partito, assurto alla carica di Presidente del Consiglio in seguito ad avvicendamenti costituzionalmente corretti, ma politicamente poco trasparenti, di dar vita ad una nuova formazione politica (il Partito della Nazione, forse meglio etichettabile in PDC, Partito democratico cristiano).
Morale: non si vincono le elezioni (sia a livello locale che nazionale), con un “generale senza esercito”, un generale che per di più ha lasciato intendere (a parole) di voler “rottamare” ciò che rimaneva del suo esercito, inimicandosi nel contempo il sindacato, i dipendenti pubblici e ammiccando, nel tentativo di recuperare voti dagli elettori “di centro”, allo schieramento politico che va da Alfano a Verdini, più screditato di quanto già non sia il partito del quale è segretario, perdendo così una parte consistente degli elettori del PD e tutti quelli alla sua sinistra (divisi tra l’astensionismo e il sostegno al “nuovo” rappresentato dal M5S).
Il secondo importante messaggio è che, come già era emerso con l’elezione al ballottaggio di sindaci del M5S di Parma e di Livorno, il combinato disposto della “riforma costituzionale”, qualora venisse confermata dal referendum autunnale e della legge elettorale maggioritaria dell’“Italicum” e nell’ipotesi che al ballottaggio si scontrassero il PD di Matteo Renzi e il M5S, quel combinato disposto consegnerebbe il Governo del Paese e la Nuova Camera (in gran parte costituita da nominati fedeli al governo), vale a dire l’intero assetto di potere “politico” senza alcun “bilanciamento”, al Movimento di Beppe Grillo. Un bel risultato, date le premesse, basate sull’esito irripetibile delle elezioni del Parlamento europeo, senza contare i mutamenti politici in atto in tutti i paesi della UE e in prossimità delle conseguenze che potrebbero derivare dall’esito dell’infausto referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea.
Tutte le analisi commento dei risultati elettorali del primo turno delle elezioni amministrative, hanno messo in evidenza il ruolo del voto dei giovani e di come i partiti giochino in difesa nei confronti dei millennials, intendendo con questo termine la generazione dei giovani nati tra la fine degli anni ’80 e gli inizi del nuovo secolo [Repubblica, mercoledì 8 giugno] sottolineando il fatto che quello dei millennials è un “voto fluido, sfuggente e mobile (…) fondamentale per chi vuole vincere le elezioni” [Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica di Milano].
Una cosa è certa: il voto dei giovani non viene intercettato dal “Partito, andato” del PD di Matteo Renzi. Ora, siccome la percentuale del “non voto” supera ormai il 50% dell’elettorato, per vincere le elezioni è del tutto inutile cercare di strappare il consenso di coloro che si recano a votare in favore delle formazioni politiche alternative al PD (leggi Lega, Forza Italia e Partiti di Centro), sempre più minoritarie. Parafrasando Ettore Petrolini, “Bisogna prendere il voto laddove si trova: presso il popolo degli astensionisti. Hanno poco, ma sono in tanti.” E ciò vale sia a livello nazionale che locale.