Nessun dorma!

Patrucco Giancarlodi Giancarlo Patrucco
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Mentre domenica gli elettori grillini procedevano speditamente a fare a pezzi il bipolarismo nelle urne delle amministrative, a me continuava a risuonare in testa il famoso ritornello della Turandot di Giacomo Puccini: Dilegua notte! Tramontate stelle! All’alba vincerò!
Di quale alba si tratti, lo sappiamo tutti: quella del referendum costituzionale. Un tantino meno cognito, da ieri, è come sarà possibile vincerlo. Già, dopo cotanta batosta, come si farà?

Che i due poli tradizionali del centrodestra e del centrosinistra fossero messi male era cosa nota, bastava seguire i sondaggi che il tg de La7 proponeva ogni lunedì, per tutto il 2015:
ballottaggio M5S-Centrodestra? Non ci sarebbe storia. Vincerebbero i grillini di parecchi punti.
ballottaggio M5S-Centrosinistra? Qualche punto in meno, ma vincerebbero i grillini lo stesso.

Questa era la tendenza di fondo dell’elettorato e tale si è dimostrata nel turno amministrativo, dove il M5S ha caso mai incrementato il vantaggio. Come dicono impietosamente i risultati, i grillini si presentavano in 20 città. Ebbene, hanno vinto in 19.

Se qualcuno pensa che 19 Comuni siano ancora poca cosa nell’esercito degli EntiRenzi incupitoLocali italiani, commetterebbe una leggerezza imperdonabile. Tanto per cominciare, tra quei Comuni ci sono la capitale d’Italia e il capoluogo regionale del Piemonte. Due vittorie pesanti, emblematiche, ottenute con distacchi e rimonte imbarazzanti. C’è, a seguire, la variabile centrodestra: i grillini non votano Parisi a Milano e Bergonzoni a Bologna, mentre il centrodestra vota compattamente per loro a Torino e a Roma. E’ la teoria dei due nemici: se non puoi vincere tu, cerca almeno di far perdere il tuo avversario di sempre.

Ma la questione si complica se andiamo a vedere gli astenuti. Quali che siano i motivi che hanno portato circa la metà degli elettori a disertare le urne, è un fatto che le proposte politiche in campo non sono state tali da attirarceli. In soldoni, ormai metà del Paese non si sente coinvolto, non si sente partecipe, non pensa che il suo voto possa servire a determinare un qualsiasi cambiamento.

Questa è una cattiva notizia per la democrazia, ma diventa pessima per il centrodestra dell’appassito Berlusconi e del roboante Salvini, finendo per travolgere la già traballante linea politica del PD renziano. Da Berlusconi e da Salvini non mi aspetto grandi soprassalti, se non a parole. Dal PD renziano e non renziano, invece, attendo una riflessione lucida e severa.

Provo ad avanzare qualche suggerimento.
E’ ben vero che la deriva democratica odierna porta a definire un partito più come collettore di voti che come elaboratore di linee politiche. Gli indirizzi fondamentali finiscono inevitabilmente per addensarsi sulle spalle di un leader, che impersona la linea e il volto dell’organizzazione che conduce. Ma il leader non può trascurare due delle basi fondamentali di ogni azione politica: la coagulazione del consenso interno e l’aderenza alle attese di quelle parti sociali che intende rappresentare. Un leader del PD, quindi, non può dimenticare le radici dell’organizzazione che presiede e il rapporto di fiducia che la lega alla base.

Quindi, via le carabattole. Vadano a finire in soffitta il partito della nazione e anche il partito dell’azione a tutti i costi. Si faccia più attenzione alla qualità dell’agire e agli obiettivi che essa si pone. Il PD deve attirare consensi che siano omogenei alla sua area o comunque compatibili. E’ illusorio pensare che Verdini e la sua Ala possano tappare i buchi. Caso mai, possono contribuire a farli diventare voragini.