L’abolizione delle circoscrizioni e la politica dell’uomo solo al comando

Gentile Direttore,

Leggo sempre con interesse gli articoli pubblicati sul suo giornale on line che approfondiscono la cronaca e la politica locale.

La nostra amata città da troppi anni sta vivendo una crisi economica, sociale e amministrativa profonda: la fine dei partiti storici, la frammentazione e la personalizzazione politica, un’alluvione disastrosa (quattordici vittime e una città in ginocchio), la chiusura delle caserme, la crisi del commercio, il dissesto delle casse comunali, la marginalizzazione del territorio rispetto alle metropoli padane, il doloroso risanamento finanziario con tasse elevate per legge e zero investimenti.

Vorrei qui però soffermarmi su uno degli strumenti che la politica aveva e che ha perso, proprio negli anni in cui le sarebbe più servito.
Mi riferisco alle circoscrizioni (i quartieri) soppresse per legge nelle città con popolazione inferiori a 250.000 abitanti (in Italia, secondo l’ultimo censimento, hanno tale popolazione solo dodici città, che sono in gran parte le città-metropolitane). La decisione, a mio avviso, non è molto lungimirante pur se presa con ampia condivisione: legge finanziaria del 2007 del Governo Prodi, (per le città sotto i 100.000 abitanti) e definitivamente con legge finanziaria del 2009 (Governo Centrodestra). La motivazione è la solita: il risparmio finanziario.

La “considerevole” cifra risparmiata è stata calcolata, per le città di medie dimensioni, in € 0.50 per abitante.
Presi da identico impeto risanatore sono state abolite le Province, abolizione che andrà a compimento con la Riforma Costituzionale appena approvata ma sottoposta a referendum.
Rimanendo alla decisione di chiudere le circoscrizioni, questa decisione ha portato alla perdita di un formidabile strumento di partecipazione sussidiaria (tutelato dall’art.118 della costituzione) fondamentale soprattutto per una città medio-piccola con molti sobborghi separati come la nostra e un politica frammentata.

Così quando leggo di zone soggette a sistematici allagamenti (a Casalbagliano, a Spinetta), utilizzo di cave contro la volontà dei residenti (a Spinetta, a Cristo), disagio per mezzi pesanti che transitano in centri urbani (a Spinetta), cittadini che lamentano significativa mancanza di sicurezza (Cascinagrossa, Casalceriolo, Centro città, ecc.), sottovalutazione della sicurezza stradale (Valle San Bartolomeo, Valmadonna), penso che proprio nell’epoca delle piazze virtuali (utili per discutere, poco per risolvere) si debba ricostituire qualche forma di democrazia dal basso.
I sobborghi, da questo punto, di vista avrebbero tutto il diritto di affrancarsi dal Municipio di Alessandria.

Certo in Alessandria le associazioni civiche si fanno portavoce delle richieste dei cittadini (Led di Gianni Ivaldi, per esempio, organizzando dibattiti su vari temi che gli amministratori comunali competenti dovrebbero seguire con carta e penna) e i bravi consiglieri di opposizione portano i problemi seri all’attenzione dell’opinione pubblica, anche con ruvide prese di posizione, ma non risolvono il problema essenziale: la scarsità di democrazia e il sistema decisionale.

La politica dell’uomo solo al comando (l’elezione diretta del sindaco è un po’ questo) con poche o nulle risorse economiche non sa affrontare in modo efficace i problemi. Non può perché non ne ha più gli strumenti.
Soprattutto se non è più in sintonia con i cittadini.
Tutte le città italiane sono peggio amministrate da quando c’è l’elezione diretta, anche se pochi lo ammettono apertamente.
Così il consenso facilmente si prende e facilmente si perde.

Alle elezioni comunali scorse si sono presentati in città 18 candidati sindaco e 924 candidati alla carica di consigliere comunale.
Dal mio punto di vista ciò è molto negativo ma dimostra comunque la volontà di partecipazione dei cittadini.

A questa volontà di partecipazione i decisori devono strumenti di condivisione e di trasparenza.
E prima di arrivare a forme di democrazia diretta (in qualche modo si arriverà statene certi) si deve ricostruire la partecipazione politica nei quartieri delle città: palestra per amministratori, termometro del consenso, antidoto alla desolazione del “rubano tutti alla stessa maniera”.

Per esempio: se il bilancio complesso e dividente di Alessandria fosse letto e approfondito dai quattro o cinque consigli circoscrizionali non sarebbe più accettato e condiviso? Se le manutenzioni (di aree verdi e strade) fossero programmate dal basso, non sarebbero più efficienti? Se la gestione promozionale e degli eventi delle vie commerciali fosse organizzata a livello di quartiere, i commercianti non sarebbero più tutelati? Io penso di sì.

In alcune zone del centro la popolazione straniera pareggerà quella italiana. E’ un fatto, è il futuro. Pensate che non sia utile uno strumento istituzionale di confronto più vicino alla gente, oltre al Consiglio comunale?
Io penso di sì.
Darsi quindi strumenti nuovi, compatibili con la legge, come organismi consultivi eletti dai cittadini i cui membri siano volontari, cioè senza gettoni di presenza, lo impongono la cultura del tempo e la legge.

Gli esempi ci sono e sono facilmente recuperabili in rete (Pesaro, Carrara, Pisa, Piacenza, Udine, ecc.).
Poi si potrebbe far cambiare la legge nel senso di un maggiore decentramento ma questo sembra, nel breve, impossibile perché il solco della politica “presidenziale” sembra tracciato.

I costi della politica vanno abbattuti, ma quanto costa la politica dell’uomo solo al comando?
Con stima, cordiali saluti.

Alessandro Decarolis, cittadino