Il bar di Buddha [Il Superstite 285]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

 

«Insomma, ragiona, l’invasione sta avanzando su vari livelli. Quello militare che è sotto gli occhi di tutti. Adesso stanno in Libia, a uno sputo da casa nostra. E gestiscono con tecnica manageriale le migliaia, a presto milioni, di migranti da spedire in Europa. Gente che presto non sapremo più dove mettere né come gestire. Se hai per caso o per pura sfiga un alloggio vuoto sul quale hai delle reticenze ad affittare, preparati a qualche ordinanza prefettizia. Te lo requisiscono per metterci dentro una famiglia di disperati. Sperando che siano soltanto tali…»

«Dai, non esagerare. Comunque non ho appartamenti. Ho solo il buco in cui vivo».

«Chiudilo a doppia mandata quando esci. Se qualcuno riesce ad entrarci con dei bambini piccoli al seguito, sei fottuto».

«E un altro livello, oltre a quello militare?»

«Quello mediatico che peraltro non è sotto gli occhi di tutti. Perché per le immagini più destabilizzanti, quelle che poi non ti fanno più prendere sonno, devi possedere un computer. In ogni caso le orde di Iside hanno con minuzia occupato tutti i varchi a disposizione nella Rete. E certe immagini, non ho bisogno di ricordartelo, provocano degli effetti duraturi. E cicatrici».

«Mi pare però che negli ultimi tempi abbiano abbandonato la tecnica del terrore tramite i filmati delle decapitazioni…»

«Difficile dirlo con precisione. O non hanno più nessuno da decapitare o le TV occidentali di comune accordo hanno sbarrato la strada a certi video. Mi pare certo che in questo momento l’ISIS abbia problemi sul piano militare. Ma che ne sappiamo in realtà? Ci sono troppi fronti aperti… e ha ragione il Papa, la terza guerra mondiale è già in atto!»

«Come credi, ma mi hai parlato di vari livelli. Militare, mediatico… E poi?»

« Beh, c’è quello sonoro, il più subdolo».

« A che ti riferisci?»

«Perché non accendi la radio? Sono le due di notte. Accendila e prova a girare un po’ Rock Islamdi stazioni in FM. Ci troverai un sacco di, come si chiamano?… Buddha Bar, Café del Mar, musica etnica insomma. Beh, ma quella è la loro musica. E va avanti per ore. Un’immersione sonora che provoca provoca effetti duraturi».

«E che dovrebbe farti la musica del Buddha Bar?»

«Non te ne rendi conto, ma diventi islamico dentro».

«Mi fai ridere. Sei paranoico. E stai parlando comunque di radio di grandi gruppi privati. Non vedo come le orde di Iside ci possano mettere le mani».

«Tu dove vivi? Facci caso quando passano i filmati di propaganda. Quelli hanno i soldi. E ne hanno tanti. Sono pieni di Toyota, Vendono persino il petrolio all’Occidente. Che vuoi che sia per qualcuno dei loro finanziatori comperarsi qualche azione dei network che mandano musica in FM? Gli emiri si sono comperati Alitalia e producono persino film horror di registi che Hollywood non produce più!» (1)

«Metti assieme faccende che non sono per nulla collegate. Il mondo islamico è un pianeta a dir poco variegato, con il buono, il meno buono e il cattivo. Come da noi, come dappertutto. Ma non farmi ridere… diventare islamici dentro, ah!»

«Okay, accendi la radio».

«Non ho voglia di nessun tipo di musica, ma lo faccio, così stai zitto per un po’».

Una macchina lanciata sull’autostrada nel cuore della notte. Due uomini sui trent’anni che stanno discutendo. Italiani, se qualcuno ha qualche dubbio. Quello alla guida accende la radio sintonizzata su Radio Montecarlo. La musica si diffonde nell’abitacolo. È musica che viene indubbiamente da lontano. Se i due fossero degli intenditori, riconoscerebbero delle sonorità berbere. Oniriche, sognanti. E, se fossero musicisti, ne gioirebbero.
Uno però, quello che non guida, è prevenuto. Pensa che l’invasione sonora della musica notturna sia una sorta di complotto contro l’Occidente. Contro l’Italia. Contro di lui.

«La senti?»

«E allora?»

«Vanno avanti per ore».

«Non è mica brutta».

«Ti segna il cervello. Ti possiede».

«Hai paura che da domani prenda a frequentare una moschea?»

«Scherza tu. Questa roba non fa bene».

«Sei tu che mi hai fatto accendere la radio. A me piace guidare con il rumore del motore».

«Cambia almeno stazione».

«Okay».

E quello che guida inizia a premere il selettore. E dopo vari tentativi deve ammettere che la storia è strana. Ovunque trasmettono musica lounge, chill out, ethnobeat, arabic sound, andalusian rock, fado, sitar, percussioni, piattini, arpe. Non c’è traccia di Gigi D’Alessio, ma neppure di Mario Biondi.
Così il guidatore spegne.

«Hai visto?», l’implacabile amico razzista.

«Ho sentito più che altro».

«Sono già qui. Sono arrivati. Non mancherà molto che la trasmettano pure di giorno».

«Che problema c’è? Basta non accendere».

«Non è così semplice. Sono già tutti arabi i jingle dei cellulari. E senti le stesse cose nei supermercati, nelle metropolitane e persino in qualche banca».

«Banca?»

«Sì, Unicredit».

«Ah…»

«Che vuol dire ah?»

«Uhm, lo leggevo l’altro giorno. Il primo socio di Unicredit sta ad Abu Dhabi. Oh, sarà un caso».

«Hai visto? HAI VISTO?»

Un’auto nella notte. La paura che viaggia sul filo dei 180 all’ora. Sul filo sottile tra verità e ossessione.

 

(1) Tobe Hooper, Djinn, Emirati Arabi, 2013.