De l’huile sur la piste [Lettera 32]

Giuliano Beppedi Beppe Giuliano

 
Ci sono momenti di televisione in bianco e nero, di quando ero bambino, che ricordo perfettamente, come li rivedessi adesso, fotogramma per fotogramma.

Ricordo Mario Poltronieri, terreo, la voce diversa, molto più grave del solito, costretto a dare un annuncio terribile, nel tardo pomeriggio di domenica 20 maggio del 1973.
Poltronieri commentava le corse delle auto e delle moto. Era stato lui stesso pilota, tra gli anni cinquanta e sessanta. Come tutti i telecronisti di allora aveva uno stile sobrio, non molte parole anche quando le immagini che doveva commentare erano scarse, come quella domenica, pochi giorni e tanti anni fa.
Correvano le moto a Monza, e la Rai aveva solo due telecamere, all’uscita della parabolica e sulla linea del traguardo che é nella prima parte del lunghissimo rettilineo. Erano trascorsi parecchi minuti dalla partenza, è quasi nessun pilota era riapparso dalla parabolica alla fine del primo giro. Le telecamere continuavano a mostrare una pista atrocemente vuota e silenziosa.

Allora gli sport motoristici erano davvero una specie di partita a scacchi con la morte, Huil 1 giocata alla massima velocità. Ho letto pochi anni fa questa statistica: dei 16 piloti al via del Gran Premio di Monaco di Formula 1 corso nel maggio del 1967, sei anni dopo (quindi quel 20 maggio ’73) la metà, ben otto erano nel frattempo morti in incidenti.
A Monza il rettilineo di partenza era di oltre un chilometro, senza le varianti introdotte successivamente per rallentarlo, e portava al “curvone”, una piega a destra che si faceva in pieno, a una velocità vicina ai 300 all’ora tra i grandi alberi del parco, l’asfalto contenuto dai guard rail in lamiera che, arrivando a quella velocità, sembrava stringersi fino a diventare un minuscolo varco in cui provare a entrare essendo più veloce degli altri.

Proprio il rettilineo vide alcune delle tragedie più terribili, dall’assurdo rogo prima ancora dell’inizio della gara in cui morì Boley Pittard (era un inglese, di lui come di altri piloti degli anni sessanta si diceva fosse l’autista, uno dei pochi che non si era fatto prendere della clamorosa rapina al treno postale Glasgow-Londra, The Great Train Robbery che ispirerà parecchi film), alla carambola che nel 1978 ucciderà lo svedese Ronnie Peterson.

Huil 4La corsa più attesa domenica 20 maggio 1973 è la 250. Le prime gare della categoria le ha vinte tutte Jarno Saarinen, l’astro nascente, che guida sempre in derapata, uno stile che allora nessuno usava (dovranno arrivare i piloti americani per imporlo) e viene dalla Finlandia, terra solitamente di rallysti o sciatori di fondo.
Il suo avversario è Renzo Pasolini, altro pilota entusiasmante nonostante l’aspetto che di certo non fa pensare a un corridore, con quei grandi occhiali da vista sotto la visiera dell’anacronistico casco jet (per dire: l’ultimo pilota a vincere il mondiale di Formula 1 senza casco integrale fu Jim Clark proprio in quel 1967 citato prima).

Pasolini, l’unico in grado di tenere testa a Giacomo Agostini, e appena prima dellaHuil 3 gara delle quarto di litro, nelle 350 lo stava battendo, non avesse avuto un guasto a tre giri della fine.
È un beniamino dei tifosi anche se non ha mai vinto il mondiale, l’anno prima battuto proprio dal giovane finlandese che ha subito trovato tantissimi tifosi anche da noi (parecchi bambini, tra cui il futuro corridore Trulli verranno battezzati Jarno, dopo quel 20 maggio).
L’Harley Davidson che ha di recente acquistato la Aermacchi prepara per Pasolini un motore speciale. Deve battere Jarno nella corsa italiana.
Passano molti minuti, angosciosi, prima dell’annuncio terribile di un Mario Poltronieri terreo, la voce diversa, molto più grave del solito: in un incidente al “curvone” sono morti proprio loro, Renzo Pasolini e Jarno Saarinen.

Una cosa che non dovrebbe succedere mai, figuriamoci: all’inizio del film sono morti i due personaggi principali.

Sul web si trovano diverse fotografie dell’incidente, e solo una parola può raccontarle: apocalittiche.
Ci sono anche due bei filmati di racconto di quella domenica: un episodio di Sfide (splendido programma di Rai 3) e un dettagliato racconto affidato a Nico Cereghini, pilota poi diventato telecronista, lui pure davvero bravo.
Colpisce l’intervista al dottor Costa, che ha salvato tantissimi piloti (e tanti purtroppo ne ha visti morire). Quella domenica cercò di rianimare Pasolini per oltre un’ora, finché distrutto e senza più speranze non svenne (Jarno invece era morto sul colpo).

Proprio Pasolini aveva iniziato, suo malgrado, l’incidente che coinvolse una dozzina di piloti, volando via alla fine del rettilineo, qualcuno dice per un grippaggio, qualcuno dice a causa dell’olio sulla pista.

Huil book(De l’huile sur la piste è il titolo di una storia a fumetti con Michel Vaillant, il pilota inventato da Jean Graton: entusiasmò tanti ragazzini, all’inizio degli anni settanta, sfidando, e implacabilmente battendo, di solito sulle auto, ma a volte anche in moto, tutti i più grandi piloti.
De l’huile sur la piste è ambientata proprio a Monza.
Michel Vaillant, il pilota immortale, è sopravvissuto anche al suo disegnatore, ancora corre sulle bellissime Vaillante costruite da suo padre, anche se le sue avventure in bande dessinée da tanti anni non sono più tradotte, da noi, purtroppo.)