Buoni freni [Lettera 32]

Giuliano Beppedi Beppe Giuliano

 

Adesso che il trofeo è stato alzato dallo sgangherato capitano Morgan e da un Claudio Ranieri che ha sul viso, ormai fissato, un sorriso felicissimo e pieno di orgoglio, sia quando sta a fianco di Bocelli che in maglia color blu reale canta Nessun dorma a uno stadio impazzito di gioia, sia in una delle cento e più interviste rilasciate, e probabilmente anche mentre si rasa davanti allo specchio, ecco adesso che la penultima pagina della favola del Leicester è stata scritta, e ampiamente raccontata, cosa possiamo aggiungere?

Intanto che favola lo è davvero, perché sembrava ormai scontato che la Premier se la sarebbero contesa, da qui all’eternità, solo le poche storiche grandi, Manchester United e Arsenal su tutte (lo stesso Liverpool non vince da una vita, nonostante gli anni del grande capitano Gerrard, nonostante tutti i gol di Suarez, neanche quando era stato capace di vincere la Champions con la più imprevista delle rimonte, come bene ricordano i tifosi rossoneri) o le nuove ricche, il Chelsea pieno di rubli e il City dei petrodollari. Non che il Leicester sia poverissimo, certo,Ranieri anche perché gioca nel campionato dove i diritti televisivi sono ripartiti più equamente, mentre quello dove c’è la disuguaglianza maggiore è la Liga, infatti anno dopo anno sfida a tre, almeno tra le due squadre di Madrid e il Barça equilibrata.

Peggio ancora gli altri campionati europei principali, scontati quasi quanto un mondiale di formula uno: in Germania tocca di nuovo al Bayern, in Francia di nuovo al PSG, da noi solo la partenza faticosa dei bianconeri ha dato per un po’ l’illusione di stagione equilibrata.

La “favola Leicester” da noi nel dopoguerra ha come possibile paragone solo la “favola Verona”. Certo, anche lo scudetto del Cagliari fu epocale, ma gli isolani avevano Gigirriva alias Rombo-di-tuono (per citare Brera) l’attaccante che, con ogni probabilità, é il più forte italiano di sempre, e il filosofo Manlio Scopigno allenava (con ritmi blandi) una squadra che costituirà l’ossatura degli azzurri protagonisti in Mexico ’70, il portiere Ricky Albertosi, il libero Cera, Domenghini a percorrere chilometri, nella rosa dei ventidue anche il prezioso Bobo Gori, perfino lo stopper Communardo Niccolai, che ricordiamo ancora per gli autogol e che proprio Scopigno etichettò con soave crudeltà, quando fu titolare all’esordio dei mondiali. Tutto mi sarei aspettato in vita mia ma non di vedere Niccolai in mondovisione, disse il saggio allenatore della squadra campione nel 1969-70.

BagnoliInvece il Verona della stagione ’84-85 giocava nel campionato più bello del mondo, contro tutti i campioni del momento, e nell’estate a Platini, Boniek, Falcao, Leo Junior, Zico… si erano aggiunti Kalle Rummenigge, il dottore Socrates, e per la folle gioia di Napoli il più forte di tutti, Maradona.
Anche il Verona, come il Leicester, non era poverissimo, e poté scegliersi, bene, due stranieri che per quel titolo furono decisivi, il decatleta Hans-Peter Briegel e il centravanti Elkjaer, un danese prepotente che in una stagione “alla Vardy” segnerà tanti gol, da ricordare quello alla Juventus dopo una cavalcata di decine di metri e una scarpa in meno, toltagli da Favero nell’ultimo inutile tentativo di fermarlo.
Nessuno fermava Elkjaer e quel Verona come nessuno ha fermato Vardy e questo Leicester.
Nessuno poteva impedire quell’unico, magico (“magic”, non “magician”, e infatti Ranieri in una delle tantissime conferenze stampa di questi giorni ha avuto la lucidità di correggersi) trionfo a un allenatore che non era tra quelli abituati a vincere campionati.

Non so se hanno tanti punti in comuni, l’Osvaldo della Bovisa e Er Fettina, Bagnoli che allenava quel Verona e Ranieri che guida questo Leicester.
Di sicuro l’origine popolare. Bagnoli cresciuto a cavallo della guerra appunto alla Bovisa, periferia operaia e povera di Milano dove giocare a pallone era l’unico svago possibile, Claudio figlio di macellaio del Testaccio, quartiere dove se non nasci giallorosso hai problemi seri.
Di certo una concezione del calcio magari non rivoluzionaria come quella di Sacchi, o così obbligatoriamente figa come quella di Pep Guardiola (che ancora deve spiegarci se era merito suo o semmai del fatto che nel suo Barça tutti erano fuoriclasse), o feroce come quella del Cholo, il discusso protagonista del momento. Però il Verona di Bagnoli e il Leicester di Ranieri il campionato se lo sono vinti in maniera strameritata, con giocatori che non “vendono le magliette” ma che decidono le partite, nessuno campione, neanche Fanna Galderisi Kante o Mahrez, tutti scelti accuratamente e messi in campo alla perfezione.

E, sospetto, i due in comune hanno anche la saggezza che permetterà pure a Ranieri di vivere e gestire bene l’ultima pagina della favola, quella da scrivere dopo il trionfo.
Come sapeva alla perfezione Bagnoli che infatti, intervistato alla Domenica Sportiva il 12 maggio 1985, poche ore dopo il pareggio di Bergamo che ufficializzò lo scudetto, a chi gli chiedeva cosa serviva ora al suo Verona, rispose (al solito laconico): “buoni freni”.