“Nei nostri centri d’ascolto incontriamo le persone, e da lì proviamo a capire come aiutarle. Passa il padre separato che finisce per strada, o il professionista che prima aveva una vita normale, magari con un mutuo da pagare, e a causa della crisi non ce la fa più”.
A raccontare queste storie di povertà, vecchie e nuove, è Gian Paolo Mortara, direttore della Caritas alessandrina. E lo fa con una partecipazione che non può lasciare indifferenti.
Gli indigenti di cui la Caritas si fa carico ammontano a circa 150-160 unità, in maggioranza uomini. Gli italiani (ma ha ancora un senso fare queste distinzioni?) sono il 40%; gli stranieri il 60%. Mortara parla di povertà assolute. “Sono persone che hanno perso tutto: casa, famiglia, lavoro. Alcuni hanno anche perso i legami con padre e madre, oppure hanno sviluppato rovinose dipendenze che hanno fatto piazza pulita di tutto”.
Poi c’è il dormitorio: quello maschile ospita 20 uomini, quello femminile 16 donne, con la possibilità in questo caso di accoglierle anche con i loro bambini.
La mensa ogni giorno offre in media una ottantina di pasti. E in un anno vengono accolte circa 400 persone che transitano e usufruiscono del servizio. Oltre ai poveri, anche tante persone sole.
E’ difficile non lasciarsi coinvolgere emotivamente di fronte a queste situazioni, che in molti casi sono più vicine a noi di quanto pensiamo. E così nell’intervista, per una volta, al posto del canonico “lei” ci daremo del “tu”.
Gian Paolo, la Caritas come sta in piedi?
Sta in piedi grazie ai volontari che ci aiutano in diverse modalità, personali o comunitarie. Il contributo di ognuno è prezioso: da chi ti dà il pacco di pasta a chi ti porta con fedeltà 5 euro ogni mese. Spesso sono pensionati con la minima, persone che quei soldi fanno fatica a metterli via… e lì capisci che cos’è davvero la carità.
E poi?
Poi c’è la Chiesa cattolica, che ci viene in aiuto grazie ai fondi dell’8xmille. E ancora enti e fondazioni del territorio, con cui interagiamo attraverso progetti specifici. Penso, in questo caso, alle Fondazioni (Cral e Social, per esempio) o al Banco alimentare. Ci sono anche i supermercati che donano le loro eccedenze, insieme con le comunità parrocchiali e i singoli, le famiglie e i gruppi. Come quelle persone anziane che una volta al mese si autotassano, vanno a fare la spesa e poi vengono da noi a cucinare per i più poveri. Da due anni anche diverse parrocchie della nostra diocesi si organizzano in autonomia, dal cibo al servizio, e a turno coprono il servizio mensa della domenica sera.
Secondo te c’è una sensibilità adeguata su questi temi?
Secondo me stiamo facendo un cammino di crescita rispetto a questi bisogni, anche grazie alle parole e alla persona di papa Francesco. E poi, un po’ paradossalmente, c’è l’effetto crisi: la gente si rende conto di che cosa voglia dire trovarsi in difficoltà, e comincia a riflettere… è sempre stato difficile “vedere” il povero, soprattutto quando è il tuo vicino di casa, quello che sta sul tuo pianerottolo. Adesso ho l’impressione che le cose stiano cambiando.
Dal tuo osservatorio, quali sono i cambiamenti che riesci a intravedere?
Oltre a una rinnovata sensibilità a certi temi, emergono in negativo fenomeni sempre più rilevanti, anche se ancora un po’ sommersi. Penso, per esempio, a chi con il gioco d’azzardo si è rovinato. La mia impressione è che ci sono persone che vengono da noi e poi, in qualche modo, trovano i soldi per il “Gratta e vinci” o le Slot machine. Bisogna anche considerare che si tratta di una dipendenza che le persone difficilmente riconoscono, ma c’è, e tocca anche le famiglie.
Sei stato uno dei delegati diocesani che il Vescovo di Alessandria, monsignor Guido Gallese, ha portato con sé al Convegno ecclesiale di Firenze del 2015. Che rapporto hai con lui?
Il vescovo è sempre molto attento alla Caritas e alle persone che la portano avanti. Anche a livello personale, lo stimolo che riceviamo ogni volta da lui è quello di andare avanti. Anche quando, inevitabilmente, sbagliamo.
Che cosa avete in mente per l’immediato futuro?
Un ambulatorio! Alcuni medici volontari alessandrini si sono messi insieme allo scopo di essere vicini a chi è in difficoltà. E così otto medici dedicano durante la settimana una parte del loro tempo per visitare le persone più povere. Il progetto è partito nel novembre 2015, e l’idea è quella di stabilizzarlo trovando una sede e una struttura dedicate. La diocesi ha messo a disposizione alcuni locali, i Lions si sono fatti carico di aiutarci finanziariamente, un dentista che è andato in pensione ci ha donato le sue strumentazioni… La carità si muove, come vedi. A settembre saprò dirti di più.
Vuoi fare un appello alla città?
Guarda, io vedo un territorio che cammina, nella consapevolezza che le difficoltà sono tante. Agli alessandrini dico di essere più fiduciosi, di continuare a essere solidali, di essere attenti, magari già con la persona della porta accanto che naviga in brutte acque. E’ bello quando qui arrivano persone in difficoltà accompagnate dal vicino di casa, perché la vera carità parte da chi abbiamo più “prossimo”.
Che cos’è la Caritas?
La Caritas è un servizio alla carità che non si sostituisce alla mossa personale di ognuno di noi. Proprio nel discorso ai delegati del Convegno di Firenze papa Francesco ha invitato tutti a uscire e andare verso gli altri. Ed è questo il messaggio che con la nostra testimonianza vorremmo trasmettere, pur consapevoli di tutti i nostri limiti.
Andrea Antonuccio