Tanti giri di vite [Il Superstite 279]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

 
D’accordo, la cultura americana è un prodotto d’importazione, colpa o merito dei famosi pilgrims inglesi che il 21 novembre 1620 sbarcarono in quello che sarebbe poi divenuto il New England, terra ancora oggi ricca di fermenti gotici. Però, giusto a onorare l’anagrafe e la teoria degli eterni ritorni, va rimarcato che uno dei più importanti punti di riferimento letterario del British Ghostly di fine Ottocento fosse in realtà di origini americane.

Ma è un dato di fatto: Henry James, autore del seminale Giro di vite, nacque a New York nel 1843 e nel 1876 chiese e ottenne la cittadinanza britannica perché si sentiva più inglese che yankee. La sua vita e opera da sole varrebbero un libro di lunghezza immane ma qui non è spazio e allora citiamo brevemente quel capolavoro di soprannaturale ambiguità che è stato Giro di vite, pubblicato per la prima volta nel 1898, riscritto per il teatro da William Archibald e trasformato in libretto operistico, ancora oggetto di rappresentazioni in tutto il mondo, dal compositore Benjamin Britten e dal paroliere Myfanwy Piper.

Quell’opera agghiacciante dove due bambini orfani, Miles e Flora, venivano accuditi in una grande villa perduta nella campagna inglese da una governante borderline che vedeva attorno a loro i fantasmi del giardiniere e della precedente istitutrice. Li vedeva? O esistevano davvero? Non si tesseranno mai le opportune lodi di questo racconto lungo, vera bibbia dell’ambiguità percettiva, che ha fornito e continua a fornire al cinema ben più materiali di quanto facciano intendere le oltre venti versioni ufficiali, a dispetto del fatto che quelle viste in Italia sono soltanto cinque, ovvero quelle di Jack Clayton, Michael Winner, Rusty Lemorande, Donato Rotunno e la versione televisiva di Marco Serafini, passata su Canale 5 nel 2008.

La prima è quella giustamente più famosa, la più riuscita per eleganza, allusione e intimo DNA, aderente in modo congruo agli intenti narrativi e introspettivi di James e ambientata in una straordinaria Bly House – un’autentica, splendida villa gotica di Sheffield Park, nell’East Sussex, fotografata in modo sublime da Freddie Francis e infestata alla pari dell’anima della governante Miss Giddens, un’isterica quanto perfetta Deborah Kerr –, pellicola intitolata in Italia Suspense che con Gli invasati di Robert Wise, resta tuttora un classico che il cinema fantastico, soprattutto il nascente horror italiano degli anni Sessanta, ha omaggiato in modo cospicuo e manifesto. Giusto per citare un caposcuola, i due bimbi pestiferi di Reazione a catena di Mario Bava sono una evidente macro-citazione dei fantasmi jamesiani.

Arriva il 1970 e al regista Michael Winner, che legherà il suo nome a noir metropolitani quali Il giustiziere della notte e Professione assassino (ma anche al notevole horror demoniaco Sentinel) viene recapitato uno script dello scrittore Michael Hastings che, con audacia sacrilega, propone un prologo, niente affatto soprannaturale, a Giro di vite. E di sicuro James si rivolta nella tomba perché la sua raffinata ambivalenza è andata a farsi benedire. Hastings infatti visualizza il non detto e il non visto, ovvero il giardiniere Peter Quint e l’istitutrice Jessel intenti a intrattenere una violenta e perversa relazione sessuale di cui si dilettano i bambini di Bly, Flora e Miles, che li imitano e li rappresentano nei loro comportamenti, infantile versione di mènage sadomasochistico. I ragazzini, in questo caso sul serio diabolici senza interventi dall’aldilà, non possono però permettere ai loro cattivissimi maestri di andarsene come vorrebbero e allora li uccidono, applicando proprio l’assioma di Peter Quint “a volte si deve uccidere per troppo amore”. All’epoca Hastings, per giustificare la ferocia dei suoi pupattoli, dichiarò ai giornali che James non se intendeva poi così tanto di psicologia infantile. Perché i Flora e Miles originali erano “troppo” innocenti, come peraltro dichiarava il titolo originale del film di Clayton.

«Nella nostra versione la responsabilità della dannazione di Flora e Miles non è tutta a carico di Quint. I bambini, in quelle età di passaggio, sono veramente perversi polimorfi. E, se li rinchiudi in una grande casa piena di servitori e di segreti, puoi scommettere che dopo un po’ di segreti non ne esisteranno più. Ammetto che da parte mia ci sia stato un vergognoso esercizio da mania di grandezza nel tentativo di scrivere un prologo a Giro di vite. Ma il mio libro The Nightcomers non è affatto jamesiano. E quel furbone di Winner ha risolto i problemi aumentando sullo schermo l’età dei bambini. Quelli dell’originale avevano 9 e 10 anni, i nostri 13 e 14. Tutta un’altra musica».

Comunque Improvvisamente un uomo nella notte, per quanto interessante sotto il profilo del prolungamento immaginario del mondo spettrale di James e con un superbo Quint interpretato da Marlon Brando, è purtroppo lento, senza mordente, e l’assenza dichiarata delle componenti “spettrali” diventa sul serio un difetto. Dato che abbiamo parlato di audacia sacrilega, mi tocca citare la mia personale. Perché il Superstite è andato oltre, scrivendo una novelette che s’intitolava all’origine Blue Siren e l’ultimo giro di vite, pubblicato nel 2010 da Mondadori con il titolo abbreviato Blue Siren (forse per timore dell’ira degli eredi di James), dove mi sono immaginato, riagganciandomi ai presupposti di Hastings, che dalla relazione un po’ infame tra Quint e Jessel nascesse un’inquietante bambina dal nome Melissa, destinata a infestare il mondo nelle epoche successive. Un testo alquanto irriverente di cui vado fiero e che tornerà alla luce a breve.

E, restando ancora in ambito letterario, va menzionato il lungo e raffinato omaggioCrepax giro di vite dedicato al racconto di James inserito nel capolavoro di Peter Straub Ghost Story, in Italia La casa dei fantasmi, uscito nel 1982 e un ulteriore prequel, in forma di rappresentazione teatrale, firmato da Don Nigro, Quint and Miss Jessel at Bly. Senza dimenticarci di due clamorosi adattamenti a fumetti, l’uno di Alfredo Castelli e del sublime disegnatore Aldo Di Gennaro, uscito negli anni Settanta nella rivista “Horror” di Gino Sansoni, e l’altro, perla nella mia biblioteca, di Guido Crepax uscito nel 1989.

Giunti a questo punto, vale davvero la pena di elencare le tante versioni, filmiche e televisive, di Giro di vite. Eccole in ordine cronologico: The Turn of the Screw (TV) di Seymour Robbie (USA, 1995), The Turn of the Screw (TV) di John Frankenheimer (USA, 1959), Suspense (The Innocents) di Jack Clayton (Gran Bretagna, 1961), Improvvisamente un uomo nella notte (The Nightcomers) di Michael Winner (Gran Bretagna, 1972), Le tour d’écrou (TV) di Raymond Rouleau (Francia, 1974), The Turn of the Screw (TV) di Dan Curtis (USA, 1974), The Turn of the Screw (TV) di Petr Weigl (Germania, 1982), Oltra vuelta de tuerca di Eloy de la Iglesia (Spagna, 1985), The Turn of the Screw (TV Nightmare Classics) di Graeme Clifford (USA, 1989), The Turn of the Screw – Die Drehung der Schraube (TV) di Claus Viller (Germania, 1990), Presenze (The Turn of the Screw) di Rusty Lemorande (Australia, 1992), The Haunting of Helen Walker (TV) di Tom McLoughlin (USA, 1995), The Turn of the Screw (TV) di Ben Bolt (USA, 1999), Presence of Mind di Antoni Aloy (Spagna, USA, 1999), Le tour d’écrou (TV) di Vincent Bataillon (Francia, 2001), Turn of the Screw di Nick Millard (USA, 2003), The Turn of the Screw by Benjamin Britten di Katie Mitchell (Gran Bretagna, 2004), Oscuri delitti (In a Dark Place) di Donato Rotunno (USA, 2006), Il mistero del lago (TV) di Marco Serafini (Italia, 2008); The Turn of the Screw (TV) di Tim Fywell (Gran Bretagna, 2009). Dal momento che Giro di vite è anche un’opera lirica di Benjamin Britten tratta sempre dal racconto di James, occorre tener conto che alcuni di questi titoli (Weigl, Viller, Bataillon, Mitchell) sono in realtà rappresentazioni sul palco filmate in diretta.

All’elenco dei film manifestamente influenzati da Giro di vite andrebbero aggiunti a onor di completezza The Others di Alejandro Amenabar che è una rielaborazione, molto libera e personale – e molto British Hammer – del testo di James e il vecchio, bellissimo, Altman Images del ’72, dove Susannah York vede fantasmi in piena sindrome Miss Giddens. Goffredo Fofi, in pieno femminismo, li definì “fantasmi uterini”.