Nanny Terror [Il Superstite 277]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

 

Dovrebbe trattarsi di una leggenda perciò pertinente da sempre al mondo dell’immaginario. Quindi anche delle paure. Jan Harold Brunvand, il più celebre studioso planetario di leggendario contemporaneo, la definisce come La brava baby sitter, con varianti quali The Hippie Baby Sitter a stigmatizzare l’estranea diversità di chi dovrebbe accudire ai piccoli mentre i genitori sono fuori per lavoro, mentre cinema e letteratura ci hanno marginalmente lavorato un po’ di tempo fa con titoli The Nanny di Seth Holt (195) di Jimmy Sangster e Nanny di Dan Greenburg, e declinazioni in tema quali La mano sulla culla, L’albero del male, mentre non va dimenticato il libro di Robert McCammon Mary Terror.

Ma qui parliamo d’altro. Ed esaurita il doveroso cappello citazionistico, eccoci catapultati in una “Zona del Crepuscolo” abitata da apparenti contagi psichici. Inutile che lo ricordi qui: razionalmente non credo quasi mai a certe tesi che si fanno strada nella mia rubrica, ma d’istinto non posso fare a meno di segnalare, quando esistono, sconcertanti analogie. Anche perché il dubbio è il vero motore di certe indagini.

La leggenda riportata da Brunvand è la seguente: due ragazze parlano ad alta voce sull’autobus o sulla metropolitana delle loro esperienze come baby-sitter. Si scambiano impressioni sui problemi intercorsi nel rapporto con i bambini e si confidano i trucchi del mestiere. Una chiede all’altra cosa fa quando i bambini piangono: “Ma come diavolo riesci a farli smettere, una volta che hanno iniziato?”. “Oh, non è un problema” risponde l’altra. “Apro il gas nel forno e tengo dentro la testa del bambino fino a quando non dorme”.

Esistono ovviamente numerose varianti, il fatto è che le terribili baby sitter a volte siMary materializzano nella cronaca nera. L’ultima “Nanny Terror” risale alla fine di febbraio. Siamo a Mosca e il personaggio in questione ha tagliato la testa di una bambina, ha dato fuoco all’appartamento dove lavorava e poi è uscita in strada, minacciando di farsi esplodere con la testa della piccola in una mano. È stata arrestata, con l’accusa di omicidio. Il suo nome è Gulchekhra Bobokulova, 38 anni, origini uzbeke. Era la baby sitter della povera, piccola Nastia di 4 anni. Gli inquirenti hanno ricostruito quanto accaduto: la donna ha aspettato di veder uscire da casa la madre e il fratello più grande della bambina, l’ha uccisa e ha dato fuoco all’abitazione. Ed è uscita. I genitori – in stato choc e affidati alle cure degli psicologi – hanno descritto la donna come una «professionista» sempre «affidabile». Ultimamente però si lamentava del rapporto col marito ed era spesso nervosa. Questo secondo quanto riportato dall’emittente Life News. Mentre teneva la testa della bimba in una mano gridava: «Allah è grande», avrebbe anche detto «sono una terrorista», ma era sotto l’effetto di droghe. Gli inquirenti indagano per omicidio e non per terrorismo. Anche se un effetto emulativo si lascia intravedere.

Gli ultimi precedenti risalgono al 2012. A New York una baby sitter cinquantenne accoltella il 25 ottobre due bambini di 2 e 6 anni nel bagno di casa e poi tenta di suicidarsi. La donna di origine dominicana si chiama Yoselyn Ortega e godeva della massima fiducia da parte dei coniugi Krim com cui collaborava da più di due anni. Il 31 ottobre, giorno di Halloween, il dramma si ripropone a Naperville, nelle vicinanze di Chicago, dove un’altra baby sitter, quarantenne e di origine polacca, uccide altri due bambini, uno dei quali era addirittura il proprio figlio. Diverse e in sequenza le varie spiegazioni rilasciate dalla donna alla polizia: voci demoniache nella testa, i bambini che erano “il Male” e la scelta di compiere l’omicidio più atroce allo scopo di colpire e far soffrire l’ex-marito. Purtroppo un film già visto.

Ma la casistica non nasce dal nulla. Al marzo dello stesso anno risale il caso, impropriamente simile a quelli di cui sopra, della baby sitter Megalie Bamu, ventinovenne originaria del Congo, una vicenda accaduta in Gran Bretagna e che ha visto la Bamu essere accusata di omicidio con il suo compagno Bibiku Eric. La ragazza, che accudiva i figli piccoli di tal Jaide Voller, 32 anni, ha ucciso durante un rito voodoo il fratello quindicenne, torturato per ore con coltelli, spranghe di metallo, un martello e uno scalpello, prima di essere soffocato nella vasca da bagno in casa della coppia di assassini, a Newham. Ma ancora l’America non ha dimenticato Manjim Basuta, condannata nel giugno del ’99 per avere ucciso Oliver Smith di 13 mesi, sbattendolo a terra perché piangeva. Un caso nella dinamica simile a quello commesso nel ’97 dall’allora diciannovenne Louise Woodward, condannata da una giuria popolare nel ‘ 97 (e poi scagionata dal giudice) per l’omicidio di Matthew Eappen, un bambino di otto mesi di Boston che la ragazza aveva in cura.

Casi che non hanno nulla in comune tra loro. O forse sì, se annotiamo l’origine “straniera” di ogni protagonista, elemento aggravante una condizione forse già in essere di stress e di emarginazione. Nel caso della Ortega è assodato che la donna fosse piena di problemi su cui tutti quelli che le stavano accanto hanno minimizzato: problemi di soldi, di casa, i guai di una madre immigrata, senza marito, che doveva lottare per la sopravvivenza a Manhattan e che vendeva pure prodotti porta a porta per arrotondare lo stipendio dei Krim. Era nervosa, affaticata e continuava a dimagrire. E così sembrerebbe tutto chiaro. Anche se si fa per dire…