di Enrico Sozzetti
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L’ultimo miglio? Quello del taglio del nastro a uso e consumo elettorale. L’occasione per dire ‘visto che abbiamo fatto…’ anche se l’attesa è durata anni e quel risultato poteva essere ottenuto in altri tempi e in altri modi. Sarà sicuramente il caso delle opere pubbliche almeno finite, come il ponte Meier di Alessandria che pur a fronte di un ritardo di almeno un anno e mezzo, se non intervengono calamità devastanti, dovrebbe essere completato e aperto almeno sei mesi prima della fine del mandato dell’amministrazione comunale guidata da Rita Rossa.
Diverso il discorso del Teatro Comunale, altro mantra di Palazzo Rosso, usato come un vessillo per rilanciare una politica culturale che purtroppo non c’è ancora. Le aperture estemporanee dopo la conclusione dei lavori di bonifica dall’inquinamento da amianto, le piccole iniziative in una sala piuttosto che nel foyer sono eventi singoli. Importante, per carità, ma non c’è alcuna condizione per parlare di iniziative strutturali. E questo non lo sostiene né l’opposizione (silenziosa, molto silenziosa e che pare abbia poca dimestichezza nello scavare fra le carte), né il solito manipolo di criticoni. I tempi sono scanditi dalla Regione Piemonte che senza giri di parole ha esaminato il protocollo sottoscritto con il Comune di Alessandria e ha fatto slittare gli adempimenti basilari di due mesi. Lo certifica una determinazione dirigenziale comunale che prende atto delle osservazioni dell’amministrazione regionale presieduta da Sergio Chiamparino.
Che succede allora? Il termine per lo studio di fattibilità comprensivo di progettazione preliminare e piano di gestione per il recupero e rifunzionalizzazione della struttura passa da giugno ad agosto. E dall’estate si farà presto ad arrivare all’autunno. Quello da mettere a punto è un piano facile da riassumere in slogan e idee, molto meno da realizzare, come dice sempre la Regione: “La bonifica ha rilasciato una struttura in gran parte inagibile e che richiede profondi interventi di recupero strutturale, il rifacimento degli impianti e il riallestimento degli spazi”. Questioni note, ovvio. Che comportano “un consistente investimento economico”. Altrettanto ovvio. Così come è sempre ovvio che il Comune da solo “non è in grado di fare fronte al recupero del Teatro”. Solo il fundraising e il project financing possono rappresentare strumenti utili alla rivitalizzazione del complesso teatrale.
E qui si apre un nuovo capitolo. A parte la difficoltà di trovare investitori, chi oggi potrebbe scendere in pista per ipotizzare un considerevole esborso finanziario a fronte di una inaffidabilità dei tempi e della disponibilità totale del bene? Un semplice slittamento di due mesi dei termini per lo studio di fattibilità, di per sé niente di grave alla luce degli anni di chiusura, è però il segnale che l’imprevisto (ma non si poteva prevedere?) è sempre dietro l’angolo.
Più che di eccessive iniezioni, che rischiano di provocare delle overdose, di ottimismo, sarebbero molto più utili delle pillole di sano realismo. Basta dire le cose come sono, per farsi capire e apprezzare. Modestia e misura, insomma. Merce sempre rara.